Mentre
accende la candela nera, l’uomo si accorge che la mano gli trema, forse perché
il cuore gli batte forte nel petto. Del resto quello che si sta accingendo a
fare comporta una sofferta decisione, e certo non è esente da pericoli. Ma la
scelta, costi quel che costi, è fatta. Dice a se stesso, per l’ennesima volta,
che tanto, peggio di così non può andare. Passa velocemente in rassegna la sua
vita allo sfascio, triste e ben noto spettacolo, per rafforzare il suo intento
e vincere le ultime resistenze. Vendendo l’anima al diavolo potrà avere, ne è
quasi sicuro, una vita nuova e più appagante. Il pensiero della dannazione
eterna non lo sconvolge più di tanto; quello che soprattutto desidera è un
veloce riscatto dalla frustrazione. Vuole godere di un indomito fulgore, mai
conosciuto prima, fosse anche nelle fiamme dell’Inferno.
Non gli
sfugge che è anche la sua vendetta contro un Dio ingiusto, che mai ha ascoltato
le sue preghiere. L’Avversario invece lo ha cercato, ha cercato proprio lui,
facendogli delle promesse di trionfo, finalmente. Una fiamma rabbiosa si
accende nel suo cuore e lo riscalda
dall’interno. Quale che sia il prezzo da pagare, ne vale la pena per
alzare la testa e addentare il frutto succoso della vita; e che sia
peccaminoso, travolgente e estatico, almeno una volta, prima del buio sovrano.
Quanto è
passato da quando il vecchio-bambino si è affacciato a chiamarlo, a sedurlo nei
suoi sogni? Forse non molto, anche se quella paradossale figura ha assunto in
qualche modo l’aspetto familiare di chi si conosce da sempre. Mentre porta
avanti il rituale negromantico, l’uomo ripercorre mentalmente lo strano
incontro. Quella notte era scivolato nel sonno senza accorgersene, mentre si
agitava sul materasso che i suoi malumori rendevano un letto di spine. E lì
l’aveva veduto, in modo molto più definito di quanto accade nei sogni ordinari.
La morbida freschezza del bambino era mescolata in modo inquietante con il
disseccamento della vecchiaia; ne veniva un’ibrida figura che incuteva timore
insieme a speranza. La sua voce era come il fischio del vento, mentre gli
diceva:
-
Perché
soffri inutilmente? Se lo vuoi, hai il tuo tesoro, la tua anima, con cui puoi
acquisire una vita infinitamente più ricca. Perché la trattieni invece di
donarla, riscattando i doni che ti attendono? -
L’uomo non
aveva capito né chi era il personaggio della visione né cosa intendesse.
Tuttavia, anche se una volta sveglio aveva quasi dimenticato lo strano sogno,
questo aveva cominciato ad imporsi con una forza misteriosa nel quotidiano.
Quel viso impossibile di vecchio-bambino emergeva dalla folla nella strada,
dalla fila all’ufficio postale, dal riflesso in una vetrina, come a chiamarlo;
erano apparizioni fugaci, subito contraddette dalla realtà, ma da allora non lo
avevano più abbandonato. Egli aveva pensato ad abbagli della sua mente esausta,
possibile anticamera di una spaventevole follia. Aveva tentato inutilmente di
distogliersi da quelle visioni, e non cessava di pensarci. Infine, mentre vari
prodigi continuavano a verificarsi, quel messaggio aveva assunto un significato
inquietante.
All’uomo era
venuta in mente la storia del dottor Faust, che aveva venduto l’anima a
Mefistofele in cambio di ventiquattro anni di gloria terrena. Non era forse
quello ciò a cui lo invitava il vecchio-bambino, chiedendogli di cedere la sua
anima per acquistare una vita migliore? Cercò e lesse la leggenda di Faust,
trovandola intrigante nonostante il drammatico epilogo della sua dannazione.
Per un bel po’ Faust se l’era spassata, togliendosi ogni soddisfazione,
appagando ogni vizio, vendicandosi sui nemici e sbeffeggiando i potenti. Il
potere magico che Mefistofele gli aveva conferito, lo aveva reso bello,
giovane, ricco e invincibile. Aveva spadroneggiato ovunque, disponendo a
piacimento dell’harem del Gran Turco come impadronendosi del vasellame
d’argento del Papa; con la magia aveva posseduto ogni donna desiderata, e
combinato tutti i tiri mancini che la sua immaginazione poteva suggerirgli. Non
sono questi i desideri nascosti di ogni
uomo?
Poiché
agognava a tutto ciò, l’uomo si era convinto che quel vecchio-bambino era
effettivamente un emissario del Maligno. E le sue riflessioni, in modo sempre
più ossessivo, ragionavano sul patto demoniaco. Che sarebbe successo se lui
avesse accettato? Davvero aveva l’occasione di riscattarsi da quella vita
miserabile? E la sua anima, che in nessun modo lui riconosceva, era forse un
prezzo troppo salato?
A quel
punto, mosso dalla curiosità, aveva letto alcuni libri sul satanismo che
avevano rinfocolato il suo orgoglio e il desiderio di vivere con trasgressiva
intensità. Sino ad allora aveva in qualche modo cercato di adeguarsi alla
volontà, sgradita, di Dio, rendendosi debole e timoroso; e che aveva fatto Dio
per lui? L’aveva forse soccorso? Riconosciuto? Soddisfatto? Restava lassù
nell’alto dei Cieli, indifferente, mentre l’uomo annegava nel patimento.
Invece il
diavolo lo aveva cercato e gli aveva fatto una proposta di possibile riscatto,
tanto da apparirgli come un vendicatore che agiva con il fuoco delle passioni,
il Signore delle tenebre che, al suo prezzo, poteva conferire un potere
sovrumano.
Giunto alla
conclusione del rito, l’uomo fa sgorgare il proprio sangue tagliandosi con una
lama e pronuncia la terribile frase del patto… Aveva fantasticato su quello che
sarebbe successo, ma in apparenza non accade nulla, si sente solo terribilmente
confuso e spossato. Però ormai è fatta, la sua anima non gli appartiene più
ma in cambio ha molto da riscuotere;
tiene con caparbietà questa speranza per ignorare la propria istintiva
disillusione. Dice a se stesso che, anche senza effetti speciali
nell’immediato, la sua vita è ormai destinata a cambiare e, colto da una
sonnolenza irrefrenabile, va a dormire.
E’ buio. Il
vecchio-bambino lo osserva da una distanza siderale alta nel blu di un cielo
pieno di stelle. L’uomo non riesce a vederlo, ma intuisce il suo sguardo severo
che penetra infiniti anni-luce. Tutt’intorno brulica la sensazione di un vasto
oceano che respira espandendo e contraendo onde invisibili e possenti. Questo
origina una sinfonia caotica, sussultando come una risata sarcastica che
attacca le rocce frastagliate e scure dove l’uomo poggia i piedi.
All’improvviso è terremoto e l’uomo deve fuggire, inseguito dall’eco della
risata che frantuma la pietra. Ruzzola
lungo un pendio ovattato e soffocante, dove corrono spettri filiformi e
fluorescenti. Infine riesce a rialzarsi, ma si trova negli stretti corridoi di
un labirinto che, minacciando di schiacciarlo, lo costringono a correre nella
vana ricerca dell’uscita. Terrorizzato, egli invoca il diavolo, il suo nuovo
protettore, pur temendo che il luogo in cui si trova sia l’Inferno, come
risultato del suo agire sconsiderato.
A cavallo di
uno sbuffante grifone di cristallo, la cui luminescenza disgrega le pareti
pietrose del labirinto, appare il vecchio-bambino mostrando la pergamena del
patto demoniaco siglata con il sangue. La sua risata è un’ala grandiosa che
turbina il vento torrido del deserto, mentre le sue labbra schioccano parole
con l’effetto drammatico di vetri infranti:
-
Qui, nel
tetro labirinto che tu stesso hai creato, hai affisso questo proclama della tua
enorme stupidità. Ti avevo chiamato al risveglio dell’anima, ma tu hai tradotto
le mie parole con la tua logica corrotta, che ti ha portato a venderti al
diavolo. Diavolo che, seppure esistesse, non potrebbe certo riscuotere il suo
debito. Infatti si può cedere solo ciò che si possiede, e difficilmente
potresti affermare che l’anima sia una tua dote.
In verità, posso dirti che non hai quasi più un’anima,
poiché molto tempo fa, inconsapevolmente, hai già siglato un simile contratto.
E’ accaduto quando hai indossato la maschera di ferro dell’ego per non
riconoscerti, quando hai preferito l’avere all’essere, quando hai chiuso il tuo
cuore all’amore e allo stupore, quando hai preso ad afferrare con l’artiglio
del desiderio, quando hai preteso di sapere rinunciando all’innocenza, quando
hai fatto della bellezza una merce, dell’immaginazione un sogno impotente e
dell’azione un mezzo. Ti sei compromesso per vivere in superficie, mendicando
una sciocca soddisfazione, e così facendo hai rinunciato alla dimensione della
profondità che è il regno dell’Anima, dove hai dimenticato i tuoi genuini
tesori. Hai trattenuto la tua anima nell’ignoranza, impedendole l’espansione
che è il suo diritto universale.
Cos’è, pensi che l’anima sia una tua nebulosa
appendice di cui puoi arbitrariamente disporre, che puoi mercanteggiare nel
mondo dell’illusione? Solo se si dona l’anima alla Vita si realizzano i doni dell’Anima, che
alla Vita appartengono. Infatti l’Anima
è il fiore d’oro che si apre in tutto ciò che sboccia nell’Universo; ma in te
ne hai permesso solo la radice dormiente, quel poco che ti mantiene in vita.
Quando ti ho richiamato alla speranza di
rigenerare il tuo giardino disseccato, hai piuttosto cercato di svellere la
radice stessa dell’essere, dato che saresti pronto a sacrificare alle tue
illusioni anche quella piccola scintilla che senza cura mantieni. Tuttavia
questo non è affatto in tuo potere! -
La risata
risuona ora con un’enfasi selvaggia che incendia il cielo con un’insopportabile
aurora. Vengono schiere splendenti di angeli che lo sguardo non può sostenere…
L’uomo si
sveglia travolto da singhiozzi irrefrenabili. Vergogna. Pentimento. Ad occhi chiusi
cerca all’interno una caverna oscura dove rifugiarsi, dimenticandosi di sé e
del proprio imperdonabile errore. Le
lacrime lo lavano come un fiume impetuoso che agita i detriti taglienti dei
pensieri. In superficie, il tempo scorre così nel caos; ma, mentre continua a
piangere senza sapersi arrestare, l’uomo è attratto all’interno come da un
potente magnete.
Più dentro,
al di sotto dei pensieri e delle emozioni che ormai stentano a trovare di che
alimentarsi, sta sempre più scivolando nel nulla di un’assenza pacificante
eppure terribile, perché terribile è questa spada fatta di nulla che recide
ogni legame con il mondo. Un mondo prima odiato, ma per cui ora prova una
nostalgia dilaniante, senza tuttavia poter sentire alcun senso d’appartenenza.
Nella piena contraddizione, questa spoliazione assoluta continua a svolgersi inesorabile, com’è
inesorabile il vuoto mortifero che, lui lo intuisce, lo attende nel fondo.
Infine cessa
d’opporre resistenza: non gli importa più di niente ed è pronto a morire, con
sovrana indifferenza più che con rassegnazione… Ma proprio adesso,
all’improvviso, risplende un bagliore del lume eterno della Vita.
Lo schermo
buio si popola di immagini che scorrono liquide e distanti, mostrando lo
spettacolo visto dall’anima pre-nata dell’uomo. Essa non ha sostanza e aleggia
come un vento leggero nel panorama della Creazione. Non può soffermarsi, ma
gioisce dei repentini spostamenti nell’aria; ancor di più quando incontra un
oggetto, lasciandosi da quello assorbire durante il breve tempo del proprio
passaggio. Allora, è solo un istante, partecipa dell’intima presenza
dell’oggetto, amplificando lo splendore. Nel gioco che la governa, diviene un
attimo fiore, un attimo animale strisciante, un altro uccello, un altro ancora
albero fronduto, e molte altre cose.
Vorrebbe
però prolungarsi nel sentire, e si sforza di aderire ancora un poco
all’incontro immediato con le forme viventi. Resiste nel non mollare la presa,
e si accorge di poterlo fare perché ora ha un corpo, con mani pronte ad afferrare
e occhi capaci di fissare con lo sguardo.
L’anima
neonata dell’uomo esulta dei suoi giocattoli viventi, di cui ormai non sa più
auscultare il cuore, ma essi sono così attraenti e sorprendenti che a lei non
importa. Gioisce nel poterli spostare e governare a piacimento. Si sente
potente, ma all’improvviso qualcosa la ferisce, la sua mano è trafitta dalla
spina di una rosa.
Sente salire
un’emozione sconosciuta, che è un fuoco di rabbia, e prova l’impulso di
distruggere quel fiore, perché le ha provocato dolore e lei reagisce. E’ pronta
all’odio capace di frantumare, ma la magnifica rosa la richiama, stregandola
con il profumo, al centro della corolla.
Come l’ape
ebbra, l’anima bambina dell’uomo penetra l’odoroso sacrario di petali,
dimenticando il dolore provato.
Il fondo
interno del fiore è fatto di un limpido liquore dove l’anima cresciuta
dell’uomo si rispecchia. Così osserva se stessa confondendosi, e ciò che vede
la innamora. Come Narciso, si avvicina incautamente per gettare l’abbraccio a
quell’immagine attraente che non sa riconoscere come la propria, fino a caderci
dentro. Annega e si sperde languidamente nel fondo spumoso, e facendolo si
trova magicamente ad attraversarlo, scoprendosi nuovamente libera e in volo.
Allora
capisce il segreto: qualsiasi sia il dolore nella vita, è la spina della rosa.
La rosa dobbiamo cercarla, seguendo il profumo, perché non è sempre facilmente
conoscibile. Il fiore va penetrato fino al suo cuore interno, che attende per
restituirci la libertà incondizionata dell’essere.
Questa storia parla direttamente all'Anima, con verità ;)
RispondiEliminagrazie per il tuo commento. questi racconti che ultimamente sgorgano dalla mia penna sono appunto occasioni per leggere ciò che l'Anima già conosce, ma che spesso scordiamo di sapere. Un abbraccio
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