L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

giovedì 17 aprile 2014

L'errore di Faust




Mentre accende la candela nera, l’uomo si accorge che la mano gli trema, forse perché il cuore gli batte forte nel petto. Del resto quello che si sta accingendo a fare comporta una sofferta decisione, e certo non è esente da pericoli. Ma la scelta, costi quel che costi, è fatta. Dice a se stesso, per l’ennesima volta, che tanto, peggio di così non può andare. Passa velocemente in rassegna la sua vita allo sfascio, triste e ben noto spettacolo, per rafforzare il suo intento e vincere le ultime resistenze. Vendendo l’anima al diavolo potrà avere, ne è quasi sicuro, una vita nuova e più appagante. Il pensiero della dannazione eterna non lo sconvolge più di tanto; quello che soprattutto desidera è un veloce riscatto dalla frustrazione. Vuole godere di un indomito fulgore, mai conosciuto prima, fosse anche nelle fiamme dell’Inferno.
Non gli sfugge che è anche la sua vendetta contro un Dio ingiusto, che mai ha ascoltato le sue preghiere. L’Avversario invece lo ha cercato, ha cercato proprio lui, facendogli delle promesse di trionfo, finalmente. Una fiamma rabbiosa si accende nel suo cuore e lo riscalda  dall’interno. Quale che sia il prezzo da pagare, ne vale la pena per alzare la testa e addentare il frutto succoso della vita; e che sia peccaminoso, travolgente e estatico, almeno una volta, prima del buio sovrano.

Quanto è passato da quando il vecchio-bambino si è affacciato a chiamarlo, a sedurlo nei suoi sogni? Forse non molto, anche se quella paradossale figura ha assunto in qualche modo l’aspetto familiare di chi si conosce da sempre. Mentre porta avanti il rituale negromantico, l’uomo ripercorre mentalmente lo strano incontro. Quella notte era scivolato nel sonno senza accorgersene, mentre si agitava sul materasso che i suoi malumori rendevano un letto di spine. E lì l’aveva veduto, in modo molto più definito di quanto accade nei sogni ordinari. La morbida freschezza del bambino era mescolata in modo inquietante con il disseccamento della vecchiaia; ne veniva un’ibrida figura che incuteva timore insieme a speranza. La sua voce era come il fischio del vento, mentre gli diceva:

-          Perché soffri inutilmente? Se lo vuoi, hai il tuo tesoro, la tua anima, con cui puoi acquisire una vita infinitamente più ricca. Perché la trattieni invece di donarla, riscattando i doni che ti attendono? -

L’uomo non aveva capito né chi era il personaggio della visione né cosa intendesse. Tuttavia, anche se una volta sveglio aveva quasi dimenticato lo strano sogno, questo aveva cominciato ad imporsi con una forza misteriosa nel quotidiano. Quel viso impossibile di vecchio-bambino emergeva dalla folla nella strada, dalla fila all’ufficio postale, dal riflesso in una vetrina, come a chiamarlo; erano apparizioni fugaci, subito contraddette dalla realtà, ma da allora non lo avevano più abbandonato. Egli aveva pensato ad abbagli della sua mente esausta, possibile anticamera di una spaventevole follia. Aveva tentato inutilmente di distogliersi da quelle visioni, e non cessava di pensarci. Infine, mentre vari prodigi continuavano a verificarsi, quel messaggio aveva assunto un significato inquietante.

All’uomo era venuta in mente la storia del dottor Faust, che aveva venduto l’anima a Mefistofele in cambio di ventiquattro anni di gloria terrena. Non era forse quello ciò a cui lo invitava il vecchio-bambino, chiedendogli di cedere la sua anima per acquistare una vita migliore? Cercò e lesse la leggenda di Faust, trovandola intrigante nonostante il drammatico epilogo della sua dannazione. Per un bel po’ Faust se l’era spassata, togliendosi ogni soddisfazione, appagando ogni vizio, vendicandosi sui nemici e sbeffeggiando i potenti. Il potere magico che Mefistofele gli aveva conferito, lo aveva reso bello, giovane, ricco e invincibile. Aveva spadroneggiato ovunque, disponendo a piacimento dell’harem del Gran Turco come impadronendosi del vasellame d’argento del Papa; con la magia aveva posseduto ogni donna desiderata, e combinato tutti i tiri mancini che la sua immaginazione poteva suggerirgli. Non sono  questi i desideri nascosti di ogni uomo?

Poiché agognava a tutto ciò, l’uomo si era convinto che quel vecchio-bambino era effettivamente un emissario del Maligno. E le sue riflessioni, in modo sempre più ossessivo, ragionavano sul patto demoniaco. Che sarebbe successo se lui avesse accettato? Davvero aveva l’occasione di riscattarsi da quella vita miserabile? E la sua anima, che in nessun modo lui riconosceva, era forse un prezzo troppo salato?
A quel punto, mosso dalla curiosità, aveva letto alcuni libri sul satanismo che avevano rinfocolato il suo orgoglio e il desiderio di vivere con trasgressiva intensità. Sino ad allora aveva in qualche modo cercato di adeguarsi alla volontà, sgradita, di Dio, rendendosi debole e timoroso; e che aveva fatto Dio per lui? L’aveva forse soccorso? Riconosciuto? Soddisfatto? Restava lassù nell’alto dei Cieli, indifferente, mentre l’uomo annegava nel patimento.
Invece il diavolo lo aveva cercato e gli aveva fatto una proposta di possibile riscatto, tanto da apparirgli come un vendicatore che agiva con il fuoco delle passioni, il Signore delle tenebre che, al suo prezzo, poteva conferire un potere sovrumano.


Giunto alla conclusione del rito, l’uomo fa sgorgare il proprio sangue tagliandosi con una lama e pronuncia la terribile frase del patto… Aveva fantasticato su quello che sarebbe successo, ma in apparenza non accade nulla, si sente solo terribilmente confuso e spossato. Però ormai è fatta, la sua anima non gli appartiene più ma  in cambio ha molto da riscuotere; tiene con caparbietà questa speranza per ignorare la propria istintiva disillusione. Dice a se stesso che, anche senza effetti speciali nell’immediato, la sua vita è ormai destinata a cambiare e, colto da una sonnolenza irrefrenabile, va a dormire.

E’ buio. Il vecchio-bambino lo osserva da una distanza siderale alta nel blu di un cielo pieno di stelle. L’uomo non riesce a vederlo, ma intuisce il suo sguardo severo che penetra infiniti anni-luce. Tutt’intorno brulica la sensazione di un vasto oceano che respira espandendo e contraendo onde invisibili e possenti. Questo origina una sinfonia caotica, sussultando come una risata sarcastica che attacca le rocce frastagliate e scure dove l’uomo poggia i piedi. All’improvviso è terremoto e l’uomo deve fuggire, inseguito dall’eco della risata  che frantuma la pietra. Ruzzola lungo un pendio ovattato e soffocante, dove corrono spettri filiformi e fluorescenti. Infine riesce a rialzarsi, ma si trova negli stretti corridoi di un labirinto che, minacciando di schiacciarlo, lo costringono a correre nella vana ricerca dell’uscita. Terrorizzato, egli invoca il diavolo, il suo nuovo protettore, pur temendo che il luogo in cui si trova sia l’Inferno, come risultato del suo agire sconsiderato.
A cavallo di uno sbuffante grifone di cristallo, la cui luminescenza disgrega le pareti pietrose del labirinto, appare il vecchio-bambino mostrando la pergamena del patto demoniaco siglata con il sangue. La sua risata è un’ala grandiosa che turbina il vento torrido del deserto, mentre le sue labbra schioccano parole con l’effetto drammatico di vetri infranti:

-          Qui, nel tetro labirinto che tu stesso hai creato, hai affisso questo proclama della tua enorme stupidità. Ti avevo chiamato al risveglio dell’anima, ma tu hai tradotto le mie parole con la tua logica corrotta, che ti ha portato a venderti al diavolo. Diavolo che, seppure esistesse, non potrebbe certo riscuotere il suo debito. Infatti si può cedere solo ciò che si possiede, e difficilmente potresti affermare che l’anima sia una tua dote.
In verità, posso dirti che non hai quasi più un’anima, poiché molto tempo fa, inconsapevolmente, hai già siglato un simile contratto. E’ accaduto quando hai indossato la maschera di ferro dell’ego per non riconoscerti, quando hai preferito l’avere all’essere, quando hai chiuso il tuo cuore all’amore e allo stupore, quando hai preso ad afferrare con l’artiglio del desiderio, quando hai preteso di sapere rinunciando all’innocenza, quando hai fatto della bellezza una merce, dell’immaginazione un sogno impotente e dell’azione un mezzo. Ti sei compromesso per vivere in superficie, mendicando una sciocca soddisfazione, e così facendo hai rinunciato alla dimensione della profondità che è il regno dell’Anima, dove hai dimenticato i tuoi genuini tesori. Hai trattenuto la tua anima nell’ignoranza, impedendole l’espansione che è il suo diritto universale.

Cos’è, pensi che l’anima sia una tua nebulosa appendice di cui puoi arbitrariamente disporre, che puoi mercanteggiare nel mondo dell’illusione? Solo se si dona l’anima alla  Vita si realizzano i doni dell’Anima, che alla Vita appartengono. Infatti  l’Anima è il fiore d’oro che si apre in tutto ciò che sboccia nell’Universo; ma in te ne hai permesso solo la radice dormiente, quel poco che ti mantiene in vita.
Quando ti ho richiamato alla speranza di rigenerare il tuo giardino disseccato, hai piuttosto cercato di svellere la radice stessa dell’essere, dato che saresti pronto a sacrificare alle tue illusioni anche quella piccola scintilla che senza cura mantieni. Tuttavia questo non è affatto in tuo potere! - 

La risata risuona ora con un’enfasi selvaggia che incendia il cielo con un’insopportabile aurora. Vengono schiere splendenti di angeli che lo sguardo non può sostenere…


L’uomo si sveglia travolto da singhiozzi irrefrenabili. Vergogna. Pentimento. Ad occhi chiusi cerca all’interno una caverna oscura dove rifugiarsi, dimenticandosi di sé e del proprio imperdonabile  errore. Le lacrime lo lavano come un fiume impetuoso che agita i detriti taglienti dei pensieri. In superficie, il tempo scorre così nel caos; ma, mentre continua a piangere senza sapersi arrestare, l’uomo è attratto all’interno come da un potente magnete.

Più dentro, al di sotto dei pensieri e delle emozioni che ormai stentano a trovare di che alimentarsi, sta sempre più scivolando nel nulla di un’assenza pacificante eppure terribile, perché terribile è questa spada fatta di nulla che recide ogni legame con il mondo. Un mondo prima odiato, ma per cui ora prova una nostalgia dilaniante, senza tuttavia poter sentire alcun senso d’appartenenza. Nella piena contraddizione, questa spoliazione assoluta  continua a svolgersi inesorabile, com’è inesorabile il vuoto mortifero che, lui lo intuisce, lo attende nel fondo.
Infine cessa d’opporre resistenza: non gli importa più di niente ed è pronto a morire, con sovrana indifferenza più che con rassegnazione… Ma proprio adesso, all’improvviso, risplende un bagliore del lume eterno della Vita.


Lo schermo buio si popola di immagini che scorrono liquide e distanti, mostrando lo spettacolo visto dall’anima pre-nata dell’uomo. Essa non ha sostanza e aleggia come un vento leggero nel panorama della Creazione. Non può soffermarsi, ma gioisce dei repentini spostamenti nell’aria; ancor di più quando incontra un oggetto, lasciandosi da quello assorbire durante il breve tempo del proprio passaggio. Allora, è solo un istante, partecipa dell’intima presenza dell’oggetto, amplificando lo splendore. Nel gioco che la governa, diviene un attimo fiore, un attimo animale strisciante, un altro uccello, un altro ancora albero fronduto, e molte altre cose.

Vorrebbe però prolungarsi nel sentire, e si sforza di aderire ancora un poco all’incontro immediato con le forme viventi. Resiste nel non mollare la presa, e si accorge di poterlo fare perché ora ha un corpo, con mani pronte ad afferrare e occhi capaci di fissare con lo sguardo.

L’anima neonata dell’uomo esulta dei suoi giocattoli viventi, di cui ormai non sa più auscultare il cuore, ma essi sono così attraenti e sorprendenti che a lei non importa. Gioisce nel poterli spostare e governare a piacimento. Si sente potente, ma all’improvviso qualcosa la ferisce, la sua mano è trafitta dalla spina di una rosa.
Sente salire un’emozione sconosciuta, che è un fuoco di rabbia, e prova l’impulso di distruggere quel fiore, perché le ha provocato dolore e lei reagisce. E’ pronta all’odio capace di frantumare, ma la magnifica rosa la richiama, stregandola con il profumo, al centro della corolla.

Come l’ape ebbra, l’anima bambina dell’uomo penetra l’odoroso sacrario di petali, dimenticando il dolore provato.

Il fondo interno del fiore è fatto di un limpido liquore dove l’anima cresciuta dell’uomo si rispecchia. Così osserva se stessa confondendosi, e ciò che vede la innamora. Come Narciso, si avvicina incautamente per gettare l’abbraccio a quell’immagine attraente che non sa riconoscere come la propria, fino a caderci dentro. Annega e si sperde languidamente nel fondo spumoso, e facendolo si trova magicamente ad attraversarlo, scoprendosi nuovamente libera e in volo.

Allora capisce il segreto: qualsiasi sia il dolore nella vita, è la spina della rosa. La rosa dobbiamo cercarla, seguendo il profumo, perché non è sempre facilmente conoscibile. Il fiore va penetrato fino al suo cuore interno, che attende per restituirci la libertà incondizionata dell’essere.