L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

venerdì 26 giugno 2009

IL SOGNO DI CHUANG TZU

Satvat - Il sogno della farfalla
acrilico su tela - 2008

Un giorno il Maestro taoista Chuang Tzu disse ai suoi discepoli di aver fatto un sogno che lo aveva profondamente turbato. Aveva sognato di essere una farfalla. Il sogno non era stato spiacevole, ma si poneva il problema che se Chuang Tzu poteva sognare di essere una farfalla, allora anche una farfalla poteva sognare di essere Chuang Tzu. Quindi qual'era la verità? Lui era effettivamente Chuang Tzu, oppure era una farfalla che stava sognando, proprio in quel momento, di esserlo? Egli, chiunque fosse, chiese ai discepoli che lo aiutassero a capire la verità della situazione. Ma ogni prova che essi portavano per confermare l'identità del Maestro, non risultava efficace, poiché ogni cosa apparente poteva essere una proiezione del sogno della farfalla. Effettivamente, in questo mondo di relatività e di apparenze ingannevoli non è facile poter stabilire quale sia la verità. Di fronte ai discepoli costernati, Chuang Tzu si mostrava disperatamente confuso. Ad un certo punto, un discepolo rovesciò un secchio d'acqua fredda sulla testa del Maestro. Questi finalmente sorrise e disse: Adesso che sono ben sveglio, vedo chiaramente come stanno le cose! Il Maestro aveva mostrato ai discepoli che ogni ragionamento, ogni filosofia, è inefficace per discernere il vero dal falso. L'importante è svegliarsi! Così anche la vera Arte non è concettuale, ma è un secchio d'acqua fredda, e pure profumata, che rinfresca le nostre emozioni per farci godere ciò che E'.

sabato 20 giugno 2009

MU-PAINTING E MEDITAZIONE


A Joshu un discepolo chiese:
Anche un cane ha la Natura di Buddha?
Joshu rispose: Mu!


Alcuni amici mi chiedono perchè ho chiamato il mio stile pittorico Mu-painting. Mu è un'espressione che ho ripreso dallo Zen, poichè nel linguaggio ordinario non ho trovato qualcosa che sia altrettanto efficace. In senso prosaico, potremmo intendere la parola giapponese Mu (corrispondente al Wu cinese, quello di wu-wei, non-azione) come una negazione, ma per lo Zen tale espressione equivale alla "negazione al di là della negazione". Effettivamente, lo Zen ha fatto della pura negazione (né si né no) un metodo di investigazione e di rivelazione. Buddha dice "neti, neti", né questo né quello, puntando dritto al Cuore Vuoto dell'Essenza. L'invito è a non farsi incantare dall'apparenza, da ciò che è transitorio e finito, bensì realizzare la consapevolezza di ciò che sempre E', il mistero esistenziale che infinitamente ci comprende. Ogni affermazione è parziale, quindi irreale dinnanzi alla Verità ineffabile del Tutto. Per questo lo Zen confida nella negazione, nel Mu. Mu indica ciò che non può essere spiegato, poiché è al di là del dualismo della mente, tuttavia è la Sorgente universale di ciò che è vero, beatifico e intimamente poetico. Questa immensa risorsa d'Amore è custodita come seme di pura rispondenza nel centro del nostro essere; se risvegliato, tale seme ci consente di fiorire nell'Unità che è ciò che realmente siamo, ma abbiamo dimenticato. La meditazione e l'arte danno il necessario nutrimento a quel seme. Quando l'artista scompare nella saggezza meditativa del non-fare, l'opera d'arte accade da sola dalla creatività del Tutto, naturalmente ricca di valori universali. Nel mio percorso esistenziale ed artistico, ad un certo punto ho capito che non ha senso proiettare sulla tela i propri sogni privati (a chi possono giovare?), e che l'artista deve saper meditativamente evocare l'intima forza della Vita. Solo questo ha un valore che può essere condiviso, divenendo una fonte preziosa di ispirazione. Questo hanno realizzato i pittori taoisti e quelli dello Zen, per cui si disse che "Zen e pittura sono la stessa cosa". Questo hanno cercato i fautori dell'Arte Moderna, pur non comprendendolo a fondo, fino a tradirlo. Questo è ciò che vedo liberarsi dai miei pennelli. Per giungere a tale espressione di verità, è necessario dire Mu; Mu all'io artistico, Mu alla presunzione della forma, Mu alla episodicità del racconto. Ciò che rimane, nella pittura è una danza estatica di forma e colore che sfugge alla mano del pittore, un'astrazione più "vera" di ogni immagine mentalmente riconoscibile, che liberamente si trasmette ad ogni cuore aperto. La parola Mu è stata usata dai Maestri Zen per provocare un'istantanea rivelazione. Similmente, la Mu-painting invita ad una contemplazione intuitiva e dinamica del flusso armonico dell'Energia Vitale.

mercoledì 17 giugno 2009

IL LABIRINTO (INTERIORE)

SATVAT - L'ENIGMA DELLA SFINGE
acrilico su tela - 2007

Il nostro mondo è un labirinto che circonda il Divino.
Porta dopo porta, passaggio dopo passaggio,
ci si avvicina, ci si allontana,
si cerca il sorriso degli Dei.

Shan Sa


In tutte le culture, sin dall'età più remota, è presente il simbolo del labirinto. Esso ha adornato le pareti delle caverne pre-storiche, i manufatti dell'arte arcaica, i pavimenti delle cattedrali. Ad esempio, trovo profondamente significativa la storia di Teseo che, per salvare Arianna, affronta il Minotauro nel labirinto. Secondo me, Arianna è l'anima imprigionata nell'oscurità del labirinto psichico. Il Minotauro, umano ma con la testa di toro, rappresenta la grevità istintuale, causata dai vincoli terragni che si impongono alla consapevolezza. Arianna, in quanto anima, manifesta in sé il segreto dell'eternità dell'Essenza però, imprigionata com'è nei labirintici giri viziosi della mente, è impossibilitata ad autoriconoscersi. Teseo, il lume della coscienza intellettuale, non può illuminare la vastità imperscrutabile dello spazio interiore, tuttavia con la sua fiaccola può relativamente chiarire il tratto che si sta percorrendo, avendo anche la forza di affrontare le minacce oscurative della mente inconscia (Minotauro). Teseo può vincere la battaglia con il Minotauro, rettificando il principio cosciente, ma è Arianna che, allorché viene consapevolmente raggiunta, può dipanare il filo (simbolo del principio unitario) che segretamente ricuce insieme le vie sovrapposte ed ingannevoli della vita. Ripreso quel filo, la consapevolezza meditativa, non ci si può più ingannare. In generale, la suggestione del labirinto è la sfida a trovare la via per raggiungere il proprio centro, evitando ogni fuorviante dispersione. Conquistando il centro, simbolo del nocciolo essenziale, lo spazio cessa di essere ignoto ed ostile, poiché ci si scopre ineffabilmente a casa. Allora l'ombra, che ci disorientava da ogni anfratto del labirinto, si rivela come la presenza e le emozioni di un bambino sperduto (parte di noi stessi) a cui non abbiamo permesso di crescere. Per scarsità di autostima, per i mille condizionamenti, per paura. Se lo prendiamo per mano, possiamo ricondurlo a casa, nel nostro cuore; in questo modo non solo tale ombra, ma la nostra verità complessiva, può rifiorire al Sole della coscienza.



Satvat - DANZANDO LIBERAMENTE SUL LABIRINTO
acrilico su tela - 2009




venerdì 12 giugno 2009

ENSO: IL CERCHIO ZEN


Prima della nascita di tuo padre e di tua madre: un grande cerchio; anche Buddha non può comprenderlo.
koan zen
Si narra che Giotto, per dar prova della propria abilità di pittore, tracciò a mano libera un cerchio perfetto. Questo aneddoto, divenuto proverbiale, mostra l'intendimento orgogliosamente costruttivo ed euclideo dell'Arte Occidentale. In Estremo Oriente, cercando di cogliere nel seno dell'Arte il nesso spirituale delle onde del mutamento, gli artisti si sono espressi, in modo più o meno velato, con il cerchio, ma senza le fissazioni categoriche imposte dalla mentalità occidentale. Un antico precetto cinese rivelava che "lo Spirito si muove in cerchio", il quale è simbolo del Cielo; tale comprensione doveva guidare interiormente la mano del pittore. Però nessuna enfasi veniva data alla perizia costruttivamente geometrica, avendo valore solo la capacità dell'artista di disporsi meditativamente in una "attitudine circolare", divenendo una sola cosa con il flusso universale del Tao. Da secoli, lo Zen giapponese utilizza il cerchio (enso) nella pratica meditativa quanto in quella artistica. Nel realizzare un enso, non viene data alcuna importanza alla sua perfezione formale, essendo essenziali la risonanza spirituale e l'energia, il Chi, che il pittore è in grado di evocare nella propria opera. Generalmente, l'enso viene dipinto con un movimento unico, saturo di un'immedesimazione istantanea e totale nel qui-e-ora, ma può essere tracciato anche unendo due semicerchi, e seguendo sia un senso orario che antiorario; inoltre esso può essere chiuso o rimanere aperto. Effettivamente, poichè l'enso rappresenta la mente indifferenziata (mushin) dello Zen, la metodologia dell'esecuzione è piuttosto irrilevante. Infatti nell'illuminazione della coscienza è trascesa ogni illusione qualitativa. L'enso è l'emblema del più profondo mistero esistenziale, nonchè il ritratto del nostro "volto originale", di ciò che eravamo prima della nascita di nostro padre e di nostra madre. Per questo, nello Zen l'enso gode della più alta considerazione, sia come fonte d'ispirazione e meditazione che come veicolo di trasmissione spirituale; il Maestro zen Torei Enji dipinse, in una singola occasione più di duecento enso, per donarli alle persone presenti ad un incontro.




satvat - enso
acrilico su tela - 2009


sabato 6 giugno 2009

SIMBOLI UNIVERSALI: PATERA ETRUSCA

La patera etrusca era il piatto delle offerte agli Dei. Realizzata generalmente in terracotta, era costituita da un disco, rappresentante il principio femminile, con un umbone, simbolo del principio maschile, nel mezzo. Tale costruzione è di tipo mandàlico, e sono evidenti le analogie con altre figurazioni archetipiche, ad esempio con l'onphalos, l'ombelico del mondo, e con il lingam , il fallo di Shiva, circondato alla base dalla yoni, la vagina cosmica. Pressocchè identico simbolicamente, era il disco "pi" che gli antichi cinesi scolpivano nella giada, solo che in questo il campo centrale si presentava vuoto anzichè essere prominente (ma sono due modi per indicare la stessa cosa). Ponendo le offerte sulla patera, l'officiante rendeva omaggio al circolo orizzontale dell'Esistenza, alla Madre Terra, e contemporaneamente sanciva un patto d'alleanza con il Numen Unico spirituale che era testimoniato dall'axis mundi centrale. Mentre il piatto recepiva simbolicamente la circolazione delle correnti del mutamento con l'accettazione del pathos intrinseco alla Vita, corrispondente alla consunzione naturale delle offerte stesse, l'umbone richiamava alla vetta imperturbabile della trascendenza spirituale. Effettivamente, siamo al mondo partecipando alla danza delle correnti del mutamento, che sono dolci quanto turbolente, ma in ogni istante abbiamo la facoltà di ricordare la Verità Spirituale che ci libera poichè ci affranca da noi stessi, reintegrandoci in quella pura testimonianza intoccabile che è al centro della nostra stessa presenza. In tal modo possiamo goderci la danza, ovunque ci porti, rimanendo bilanciati. Per questo, trovo che la patera etrusca sia un simbolo bellissimo di creatività, prosperità e comprensione. Come gioiello, la realizzo per lo più come nella foto sopra: un disco di filamenti d'argento danzanti, nel cui centro vi è una gemma-umbone irradiante energia creativa. Oppure, come nella foto qui a fianco, la costruisco con una ripartizione spaziale di tipo mandàlico, più staticamente definita. Essendo lavorato a mano, ogni lavoro è un pezzo unico, che può essere intonato alle esigenze del cliente.

martedì 2 giugno 2009

L'UOVO E IL PENNELLO


Secondo i precetti dell'antica Pittura cinese, nell'atto di dipingere (sia pittura che calligrafia) si deve immaginare di contenere un uovo nell'incavo della mano che impugna il pennello. Nell'insegnamento tradizionale, si utilizza effettivamente un vero uovo, la cui rottura evidenzia in modo inequivocabile che l'allievo è entrato in tensione. Tale educazione alla delicatezza rafforza la qualità yin (femminile) del pittore, condizione indispensabile affinchè il suo lavoro sia permeato dal flusso impersonale dell'Ispirazione. Se l'azione creativa rimane rilassata, non viene distorta da alcuna reattività, fiorendo liberamente da una sorgente intuitiva che è più profonda e veritiera rispetto a ciò che può essere sperimentato superficialmente. Insieme a questo, viene però coltivata anche l'attitudine complementare, prettamente yang (maschile). Infatti, durante la sessione di pittura, il maestro interviene a sorpresa tentando di strappare il pennello dalla mano dell'allievo; se questi indulge nello yin, l'insegnante può riuscirci facilmente. Morbidezza e fluidità sono tutt'altro che debolezza, anzi sono prerogative di uno stato di presenza, tanto più salda poichè non distorta dai frastornanti richiami della personalità. Un eccesso di yin renderebbe il lavoro scioccamente trasognato e molle, virtualmente privo del reale potere yang. Metaforicamente, potremmo dire che la morbidezza yin apre il cielo della coscienza, altrimenti pietrificato dalle finzioni della mente, che in tal modo può essere attraversato dal lampo illuminante (yang) dell'energia universale. Bilanciando lo yin e lo yang, il femminile ed il maschile, il lavoro dell'Arte può essere pura rivelazione dell'Unità. Queste indicazioni dell'antica Pittura cinese sono preziose, certo non solo per gli artisti. Ogni essere umano dipinge se stesso sulla tela del mondo, tentando inconsciamente di delineare il proprio "volto originale"; imparando la lezione dell'uovo e del pennello, congiungendo consapevolmente forza ed arrendevolezza, possiamo alfine realizzare noi stessi come capolavoro dell'Esistenza.