L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

giovedì 30 dicembre 2010

Un artistico 2011!!!

Satvat - Celebrazione! - acrilico su tela, finito ieri
Il mio augurio per il nuovo anno è che sia per tutti un anno artistico, ossia colmo d'ANIMA.
Che sia bello e prezioso come un'opera d'arte, come questa ricco d'ispirazione e di spunti di riflessione, e d'intime assonanze, e di poesia.
Che come un'opera d'arte sappia attrarre in lidi sconosciuti del "sentire", per benedire la percezione con il respiro sottile dell'Altrove: tanto a noi vicino da apparire distante con l'ineffabile eterica imprendibilità dell'arcobaleno.
Che sappia sorprendere, dando occasioni di stupore in cui l'anima sospesa possa assaporare la propria naturale eredità essenziale e mistica.
Che doni infiniti colori, tutte le gamme per arricchirci nelle emozioni.
Che prenda forme che siano scrigni di saggezza, in cui sperimentare creativamente nuove dimensioni del vivere. 

UN ARTISTICO 2011 A TUTTI NOI

giovedì 16 dicembre 2010

Un esercizio di arteterapia meditativa

IL CONCERTO DELLE EMOZIONI

Per fare questo esercizio di arteterapia meditativa bisogna disporre una tela, un pannello da pittura, oppure un foglio di carta da acquerelli; in ogni caso la superficie da dipingere dev'essere sufficientemente grande, almeno di cm. 40 X 50. Il supporto della pittura dev'essere posizionato verticalmente, in modo da poter rispecchiare le attività energetiche che promanano dai chakra del pittore; nel caso di una tela o di un pannello basta il cavalletto, mentre se si sceglie la carta questa va anche fissata su un pannello di compensato. Ritengo che i colori più adatti per l'esercizio siano le tempere, ma si possono utilizzare anche acquerelli o acrilici. Ricapitolando, servono: un supporto su cui dipingere abbastanza ampio, da sistemare in assetto verticale; un cavalletto (in alternativa va bene anche appendere il supporto al muro); nel caso si usi la carta, un sostegno di compensato su cui fissare il foglio; colori; pennelli; un contenitore con l'acqua e delle vaschette per diluire i colori. 

Prima di iniziare a dipingere, si deve scrivere su un taccuino una serie di almeno 12 emozioni; ad esempio: amore, rabbia, vergogna, compassione, allegria, serenità, tristezza, gelosia, piacere, soddisfazione, pena, malinconia. Avendo predisposto la postazione di lavoro, si prende la prima parola annotata e, esaminando il campo bianco del foglio, si stabilisce il punto che si sente più idoneo per rappresentarla con colori e pennelli. La rappresentazione dell'emozione può essere un semplice gioco di pennellate, eseguendo intuitivamente le tinte e i tratti, oppure può assumere una caratterizzazione più precisa (una forma geometrica, un simbolo, una figura); in ogni caso l'atto del dipingere dev'essere interiormente motivato, con totalità ed immedesimazione. Si opera con intensità e giocosità, senza alcuna ansia riguardo al risultato. Poi si procede nello stesso modo con l'emozione seguente: si decide dove collocarla e si va a svilupparla con la pittura. E così via per tutte le emozioni che si sono scritte. Nel corso dell'opera, il gioco del pennello può arrivare a lambire una pittura già eseguita, ma senza imbrattarla o coprirla anche solo parzialmente. 

Alla fine il pittore avrà dipinto una geografia animica rispecchiante il flusso e le riflessioni delle diverse emozioni. Contemplando quel panorama, egli potrà esaminarne i diversi punti focali e il modo in cui questi risultano uno accanto all'altro; da ciò potrà trarre molteplici intuizioni. Con distaccata contemplazione, assorbirà osmoticamente i contenuti animici espressi istintivamente con il pennello e i colori. 

Una fase ulteriore del lavoro consisterà nell'armonizzazione complessiva dell'opera, che apparirà slegata in episodi distinti; nel far questo, egli dovrà trascurare le parzialità delle diverse emozioni ed elaborare un quadro unitario, apportando in modo significativo le necessarie modifiche. In tal modo reintegrerà e svilupperà alchemicamente il tessuto animico già formato, tanto nella pittura che nella dimensione interiore.

lunedì 13 dicembre 2010

Su satvat-pensierocreativo il mio nuovo post su Odilon Redon.

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lunedì 6 dicembre 2010

Ama e fa ciò che vuoi

Satvat - Noi siamo il mondo - acrilico su tela, 2010

Da un paio di giorni mi ronza in testa una frase di S. Agostino: Ama e fai ciò che vuoi. Bellissimo! E liberatorio; se lo si comprende a fondo non c'è bisogno di nient'altro. Quando ci si arrovella tra il giusto e lo sbagliato, soffrendo dannosi sensi di colpa, è questo che va ricordato; il problema si crea perché ci si pone ad agire in modo personalistico, scegliendo, e la scelta non solo è illusoria ma è la madre del conflitto. Se si sceglie non si potrà essere totali, resterà un dubbio, un'intima contraddizione spinosa. Invece ama, e amando ciò che da te fluirà come desiderio non sarà affatto egotico, bensì un frutto fragrante dell'amore. 

L'amore diviene così la sorgente dell'agire, e rispetto al flusso libero che ne scaturisce si deve evitare di mettersi in mezzo, per cercare di controllarlo in qualche modo: si viene travolti, l'io spazzato via dall'energia vivente, e solo così si è davvero totali. Questo andrebbe sempre ricordato, sia nella Vita che nella pratica dell'Arte; osserviamo se i nostri passi sono mossi dall'amore, questa è l'unica discriminante. Però va compreso bene, perché in nome dell'amore si commettono crimini orrendi. Innanzitutto non si può prescindere dall'amore per se stessi, come purtroppo ci insegnano le Religioni della contrizione, poiché, se non ci amiamo, come potremmo muoverci nell'amore? L'amore è una celebrazione dell'Unità che non si può fare a capo chino, è un'enfasi vitale che aggiunge espansione all'espansione; un essere contratto non può muoversi autenticamente nell'amore, può solo ingannarsi e ingannare. 

Per essere nell'amore si deve essere come dei danzatori che gioiscono nel seguire la musica: è spontaneo, senza pensamenti, e sarebbe la cosa più facile del mondo se non avessimo le nostre idee su come dovrebbe essere e se non continuassimo a porci dei limiti. A volte proviamo a danzare con l'amore, ma il giudice nella nostra testa non sa apprezzare la musica e ci spinge in direzioni affatto sincroniche, facendoci cadere. Si deve invece diventare musicisti capaci di vibrare con il trasporto armonico dell'Esistenza, e per questo è necessario allenare l'orecchio interiore. Si deve imparare ad ascoltare noi stessi insieme a ciò che ci circonda, cogliendo il ritmo segreto dell'assonanza, trovando l'eco essenziale che amplifica il canto del Tutto. 

Questo è anche quello che dovrebbe fare l'artista, ponendo in opera la risonanza dell'amore misterioso e saggio che lo attraversa. Ma la nostra Arte è ancora troppo influenzata dal “fare contro” teorizzato, ad esempio, da Picasso; non scaturisce da un rapimento nell'amore, ma da una volontà spesso rabbiosa. Il desiderio d'auto-determinazione che ha iniziato l'Arte Moderna è necessariamente passato per lo stretto passaggio dell'io, come accade nell'adolescenza, per sfuggire al mondo artificioso della tradizione; ma, a mio parere, intendeva sfociare nell'ampia valle della contemplazione, dove si sarebbe espanso a dismisura incontrando l'amore. Tuttavia in buona misura è accaduto che ci si è impantanati nell'arbitrio della volizione, e non ci si è volti né arresi all'amore. Questa è la sfida fondamentale che oggi l'artista, come ogni essere umano, si trova ad affrontare: AMA E FAI CIO' CHE VUOI.

martedì 30 novembre 2010

Su satvat-pensierocreativo il mio scritto su Tarshito

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Diecimila Buddha

Satvat - Spirito/imperturbabilità - 2009
Sto seguendo l'ispirazione a lavorare ad un nuovo filone pittorico, che riguarda la figura del Buddha. In senso affatto religioso o canonico, ma con quella religiosità intuitiva che è connaturata all'Arte. Perché proprio il Buddha? Non sono buddhista, solo un'anima libera.

Innanzitutto bisogna considerare che il Buddha non è una divinità, assisa in un alto Cielo e lontana dall'essere umano; la natura di Buddha è ciò che essenzialmente siamo, il nostro diritto di nascita. Possiamo averlo scordato, ma in noi vi è quella stessa consapevolezza, quella libertà ineffabile e imperturbabile; è in noi, sempre presente, anche se la ricopriamo con un'infinità di pensieri, identificazioni e proiezioni, tanto da non vederla. È come la vastità del Cielo, che viene occultata dalle nuvole, spesso temporalesche, prodotte dalla mente; il Cielo, pur non visibile, è sempre lì, e ricordarlo ci aiuta a relativizzare i drammi densi di tuoni e folgori, che a volte scuotono la nostra vita, comprendendo che sono transitori. Ecco, intendo dipingere delle figurazioni della buddhità per ricordare, e per aiutare a farlo.

In Oriente la produzione iconografica del Buddha è stata per millenni un'arte esoterica, con intendimenti differenti dalle immagini sacre delle altre Religioni: non tende a sospingere l'uomo verso un modello religioso, verso una santità collocabile al di fuori che viene pregata per intercedere sulle sorti umane. Le statue e i dipinti del Buddha sono stati concepiti come degli yantra, degli strumenti per risvegliare nell'individuo il sentimento della pace e della verità che essenzialmente gli appartengono; in questo senso l'impostazione canonica è stata sempre secondaria, e lo scopo è stato piuttosto quello di fornire l'occasione per un'assonanza profondamente artistica e spirituale. Per chiarire questo, i miei Buddha dipinti saranno ancor meno canonici, piuttosto trasfigurati dall'impeto anarchico e saggio dell'intuizione, utilizzando un linguaggio artistico contemporaneo; ho sempre detestato i santini. 

Saranno immagini del Buddha per le ispirazioni che esprimeranno emozionalmente, non per il disegno iconografico. Considero il dipinto qui sopra, con il classico Buddha stagliato su uno sfondo tempestoso in stile Depero, solo un punto di partenza per avventure stupefacenti. È dal 2000 che ho abbandonato la figurazione, tranne qualche incursione figurativa per mostre particolari, e l'astrazione della Mu-painting resta un approdo stabilmente fluttuante del mio sentire artistico; ma per alcuni versi il progetto di questi quadri è nella mia intenzione al di là della dicotomia tra figurativo e astratto, così come la buddhità è al di là di ogni logica dualistica. Lo Zen dice che all'inizio del percorso le montagne sono montagne e il fiume è un fiume; nel mezzo del cammino tutto si rende indefinibile, in qualche modo astratto; infine le montagne tornano ad essere montagne, e il fiume un fiume. Ma credo che la visione, a quel punto, sia pregna di una totalità che trascende le usuali possibilità di definizione dell'immagine. 

Questo è quanto mi motiva, per creare dei quadri che possano ispirare, in momento tanto difficile, un brivido di nutriente compassione e celebrazione spirituale.

giovedì 25 novembre 2010

martedì 23 novembre 2010

La verità delle cose

C'è un sottile rapporto tra il dentro e il fuori, tra la soggettività e l'oggettivo. Certamente siamo noi a formare il nostro mondo, ma in un certo modo anche gli oggetti di quel mondo da noi organizzato ci influenzano. Nel senso che hanno in noi molteplici risonanze, che possono essere vitali quanto ottuse. Ha significato come poniamo le cose nel nostro spazio (come ad esempio mostra il feng shui), ma anche ogni oggetto ha o meno una propria verità. Per spiegare meglio il concetto, potrei parlare dell'artigianato etnico che si è ampiamente diffuso nelle abitazioni, con mobili, quadri e suppellettili varie. 

Gli oggetti etnici danno il vantaggio di un prezzo contenuto, e possono risultare accattivanti, perché al primo sguardo appaiono originali e un po' esotici. Ma, in larga misura, non sono affatto originali e mancano d'anima. Non sono partoriti nel seno vitale di una Cultura lontana e ancora arcaica, né realizzati artigianalmente con ispirazione; sono piuttosto oggetti di serie, progettati secondo un imbastardimento dell'estetica che patteggia con il gusto occidentale e segue le tendenze del mercato. Sono solo un falso artigianato per turisti, non sono “veri”. E non parlo solo della bruttura dei quadri etnici prodotti quasi industrialmente, certo non arte ma sciocchi pannelli decorativi; questo vale anche per i mobili e le altre cose. Ovviamente ci sono anche produzioni etniche autentiche e anche pregiate, spesso antiche perché la globalizzazione ha spento l'originalità creativa dei popoli; ma è tutto un altro discorso. Sto parlando della paccottiglia pretenziosa con cui molti arredano il loro spazio vitale, che così risulta avvilente ed affatto suggestivo. L'etnico siffatto manca d'anima, di quell'autenticità che può essere conferita a un manufatto solo dall'ispirazione, da un sentimento profondo dell'artefice, che affonda le radici nella sua memoria e nella sua cultura, trasfondendo nell'oggetto la virtù di un simbolo vivente. 

Non ci accorgiamo che scegliamo di spegnere le nostre case nella banalità: tutte replicanti nella stessa decorazione superficiale. Si sa che la casa è lo specchio di chi la abita, nel senso che c'è un rapporto osmotico tra la personalità dell'individuo ed il luogo che egli elegge a propria dimora; ma se questo ha un carattere non risonante e non “vero”, rimanda un'eco distorta che propaga una vibrazione ottundente. Comunque ho fatto solo un esempio, riguardante un discorso che è ben più allargato. 

Mi sono sempre chiesto perché anche ristoranti eleganti, che curano i particolari con gusto, abbiano appesi alle pareti dei quadri non degni d'essere chiamati tali, spennellature senza virtù o, peggio, oleografie da mercato rionale. E parlando di quadri bisogna pur dire che ogni dipinto privo d'ispirazione, cosa che è ben al di là dell'estetica, è oggetto superfluo. Se intendiamo essere “veri”, sceglieremo con naturalezza e gusto magari poche cose autentiche, sfuggendo alla logica del consumo di massa; l'onda di ritorno di questa posizione matura è superiore alle aspettative, ed avremo il piacere di rifletterci in cose uniche che hanno un valore, più che venale, di forza evocativa e di potenzialità d'intima riflessione.

domenica 21 novembre 2010

Su satvat-pensierocreativo il mio scritto sull'artista messicano
Francisco Zúñiga


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venerdì 19 novembre 2010

Pensierini di Natale

Per strada stanno montando le luci e gli addobbi di Natale; la più grande festa del consumismo è alle porte. La ricorrenza religiosa della nascita di Gesù (anche se la data è inventata) fa soprattutto pensare a infestazioni di lucette da festa paesana, a moltiplicazioni ossessive di pupazzi sciocchi di Babbo Natale che si affacciano e si arrampicano ovunque, a intolleranze familiari più o meno tollerate, a spropositi alimentari, a fiumane di forzati del regalo che intasano le vie del centro, al sacrificio di milioni di abeti mozzati alla radice e condannati per portare il simbolo della tradizione nelle nostre case. Così la festività natalizia appare come un circo roboante, in cui ci si affanna a seguire le consuetudini populiste, con il televisore acceso che dispensa rifritture di buonismo artificiale. Qualcuno si diverte, soprattutto i bambini, ma in genere meno di quanto imponga l'occasione. 

Comunque, nonostante tutto, il Natale può essere una bella festa. Innanzitutto si celebra, in modo sfalsato, il Solstizio (ma quanti lo sanno?), che segna cosmicamente la supremazia della Luce sull'oscurità, occasione simbolica di rinascita spirituale. E' anche un momento per incontrarsi, per aprire le case al prossimo e condividere, ed è prezioso se si è in grado di farlo con il cuore. Ma Natale fa soprattutto rima con regalo: miriadi di pacchetti decorati e infiocchettati, che passano di mano in mano, che viaggiano dappertutto. E' una migrazione globale di soldi e oggetti, che si arresta con l'avvento della data fatidica; allora le confezioni colorate diventano rifiuti ingombranti, e ciò che contenevano viene porto ai destinatari con speranza di gradimento, a volte solo con la triste sensazione di aver adempiuto a un rito collettivo poco sentito. Ma sarebbe meglio non farlo, un regalo fatto per forza. 

Fare un regalo è un modo per coccolare chi amiamo, eppure non è raro che negli scambi natalizi l'amore c'entri poco, che scatti il senso del dovere, il confronto, l'indifferenza. Questo è ciò che il potere economico ha voluto fare del Natale, conformando e pubblicizzando una consuetudine sociale che manca di cuore, in cui veniamo sensorialmente storditi ed istigati all'acquisto coatto. L'apparire è reso importante, per illuderci che la visibilità modaiola e il prezzo del regalo diano la misura dei sentimenti. Ma non è così: è l'amore la cosa importante, che fa brillare ogni pur minima cosa. Un regalo fatto con il cuore siamo noi a sceglierlo, non la pubblicità; in tal caso sceglieremo dall'anima (nostra) per l'anima (di chi lo riceve) un oggetto che abbia un valore non tanto venale, quanto d'anima: un oggetto artistico, un libro ispirato, un gioiello fatto a mano, qualcosa di bello, unico, originale, simbolico, personalizzato. Un'opera d'arte, ad esempio, sarebbe un dono straordinario, ricco di bellezza, cultura, e preziosità intrinseca che si accresce nel tempo; può costare persino meno di tanti oggetti effimeri, se non ci si volge all'arte sponsorizzata dal mercato. Ci sono molti validi artisti, rintracciabili anche sul web, che sono lieti di condividere la loro opera a fronte di un più che ragionevole compenso; in tal modo si fa un bel regalo e si aiuta l'Arte. Ma regalare arte è inconsueto, si preferiscono oggetti prosaici che dopo un po' tramontano nel cassonetto. 

Oppure una buona idea sarebbe quella di creare personalmente qualcosa da regalare, in modo da trasferirvi un po' della propria energia e del proprio amore; o anche qualcosa di dedicato, fatto realizzare da un artigiano. Voglio dire che dovremmo sfuggire alla logica del consumismo, regalando magari meno ma con maggior motivazione e qualità, riprendendo la nostra capacità di essere creativi e originali, e insieme mostrando d'essere ricchi di sentimenti e di cultura.

martedì 16 novembre 2010

Su satvat-pensierocreativo il mio nuovo scritto sull'artista venezuelana Julliet Ramirez Hernandez.

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sabato 13 novembre 2010

Dalì a Milano: meditare sul Surrealismo


Il Surrealismo è una delle poche importanti scuole d'Arte e di pensiero del Novecento che continua proliferare nelle esperienze di molti artisti contemporanei. Negli ultimi anni si assiste a un'interessante evoluzione originata dalla matrice surrealista, con contenuti spesso più poeticamente meditati; in tal caso si sana la pecca dell'egocentrismo psichico, che era forse necessario sulle barricate artisticamente avanguardiste del processo di individuazione, esploso dall'inizio del secolo scorso. 

Comunque, anche allora, i surrealisti non si sono contentati di un nichilismo sovvertitore, come fecero invece i dadaisti, ma hanno scompaginato le vie della percezione per ricercare un nume nascosto nella piena soggettivazione dell'esperienza esistenziale. L'onirico, il ribaltamento del senso, la contraddizione dell'ovvio, e l'esaltazione ludica, sono stati i lasciapassare per una ricerca appassionata e anti-convenzionale, che voleva stabilire rapporti nuovi tra l'uomo ed il kosmos, in alcuni casi una scorciatoia dionisiaca per l'esperienza del Sacro. Effettivamente, e questo è stato forse poco compreso, il Surrealismo tentò una sovversione esoterica, detronizzando il Dio canonico e ponendo la centralità del punto di domanda che alberga nell'uomo stesso. Questo supremo interrogativo è stato il Dio Ignoto che i surrealisti hanno pregato, frugando nei loro impulsi più segreti, automatici (cioè non mediati dalla mente, schiava delle convenzioni) e sensitivi. Lo hanno fatto con risultati entusiasmanti quanto contraddittori, ma hanno tracciato profondamente il solco in cui continuano a germinare esperienze affatto esauste o replicanti, bensì a volte maturate nel senso ed innovative. Non tanto in Italia, quanto in Spagna e nei Paesi dell'America Latina; d'altro canto è stato storicamente determinante il contributo dei grandi surrealisti spagnoli, come Joan Mirò e Salvador Dalì. 

A Salvador Dalì Milano sta dedicando un'importante mostra al Palazzo Reale, dandoci l'occasione di meditare sull'opera straordinaria di questo artista ed insieme sul significato che si esprime nelle visioni immaginative, metamorfiche ed eversivamente soggettivate del Surrealismo.

Per leggere il mio nuovo post su Salvador Dalì clicca su
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SALVADOR DALI': IL SOGNO SI AVVICINA
MOSTRA A PALAZZO REALE - MILANO
22 Settembre 2010 - 30 Gennaio 2011

mercoledì 10 novembre 2010

L'Arte è un albero

Satvat - Albero della Vita Circolare
Possiamo immaginare che l'Arte sia simile ad un albero. Le sue radici affondano nel grembo terragno delle materie, traendo la pietra, il metallo, i pigmenti, ed ogni altra sostanza allo stato grezzo. Nelle mani dell'artista le materie vengono trasformate, con il calore della sua passione. Ma l'albero dell'Arte si radica soprattutto nei territori interni, psicologici e animici, dell'artista. In effetti la materia con cui egli si confronta fisicamente è un simbolo di ben più sottili materiali dell'anima, non affrontabili direttamente. Con la magia della riflessione, si manipolano sostanze che effettivamente sono simboli, i quali vengono esercitati per agganciare e muovere energie inesplicabili. L'agire dell'artista non è però reattivo alle materie, anche se può trarre occasioni dal modo in cui queste rispondono e si dispongono.

Potremmo dire che le radici dell'albero affondano non in modo casuale, ma seguendo un disegno segreto; e nello stesso tempo sono rabdomanti, empaticamente sensibili nel rintracciare zone oscure ma intimamente vitali. L'abbraccio radicale dell'albero alla terra, si approfondisce suscitando ciò che è pronto a risvegliarsi, seguendo un disegno archetipico dell'Arte e l'emozione che questo stesso provoca all'artista, al fine di poter essere realizzato. La radice ha un'intelligenza impersonale, che sa scovare e ponteggiare le energie latenti; è una lingua di fuoco che appicca l'incendio della Vita per trarlo in alto, lungo i canali della linfa, raffinando le sostanze dell'Arte e dell'esperienza soggettiva di grado in grado.

Lungo il tronco dell'albero ascende l'alchimia dell'Arte, un'energia sempre più fina che infiamma l'artista sino a che egli può sospingerla. Ma ad un certo punto gli vien tolta di mano, perché è naturalmente attratta da un magnete misterioso che incorona la sommità con il fogliame vibrante; in realtà quel fogliame era già lì, mistericamente, prima del tronco e della radice, ma necessitava dell'afflusso della linfa per rendersi visibile. Voglio dire: è per poter respirare il Cielo che l'albero è stato creato, con foglie che divengono fiori che compiono il miracolo del frutto. E volendo contemplare la cosa in somma profondità, si potrebbe dire che è il frutto che motiva il fiore che motiva il fogliame che motiva il tronco che motiva la radice. Questo è il grande segreto, certo non solo dell'Arte: è il frutto potenziale l'origine occulta di un processo che crea l'albero al fine di essere attualizzato. E allora? Addenta il frutto, sia se è immateriale nel mondo degli angeli, sia quando è maturato nel mondo degli uomini, e sii grato.

giovedì 4 novembre 2010

La proiezione dell'Ombra

Sento di dover intervenire sull'atmosfera pestilenziale che grava sul Paese. È un'intossicazione che appare insanabile, perché non è data semplicemente da una situazione avversa, contro cui si potrebbe intervenire. Gli untori sono legioni, pare un popolo intero di sconsiderati dipendenti dalla normalizzazione dell'orrore, che visita i luoghi del massacro (portando pure i figlioletti!) e non si scompone per le clamorose contraddizioni e le nefandezze che continuano a imperversare nel teatro della Politica, mai così tanto sputtanato. Nel mondo, L'Italia è ormai una barzelletta triste, che quasi fa rimpiangere lo stereotipo spaghetti-mafia-mandolino; quell'italiano farsesco, ebbro di musica e pastasciutta e svelto di coltello, non sarebbe forse preferibile a questo grigiore in malafede, calamitato verso il peggio, indulgente con ogni tiranno, fondamentalmente ignorante e privo di aspirazioni? Almeno ci si riconosceva un brigantaggio strafottente ma vitale, che in fondo forse suscitava un po' d'invidia. Risultiamo invece spenti e corrotti, ma non siamo veramente così: abbiamo del genio, che siamo costretti a mettere in salvo all'estero, abbiamo cuori capaci d'innamorarsi, abbiamo una grande capacità creativa che viene puntualmente stritolata.

Al contempo si assiste alla celebrazione dell'infimo, che è persino al di sotto del minimo comun denominatore della mente di massa; questo ci insegnano ossessivamente i mass-media, questo viene spettacolarizzato oltre ogni decenza, con questo si viene scaltramente ipnotizzati. Di vera ipnosi si tratta, di una magia oscura che aliena la rispondenza naturale: sentiamo il fetore, ma abbiamo cominciato ad apprezzarlo. Finalmente ognuno può dare il peggio di sé, e nessuno ha il diritto di risentirsi: questo è l'inganno della finta liberazione di cacca che ci giunge da ogni dove, persino dagli alti scranni del Governo. E, bisogna dirlo, molti ci sguazzano. Insomma, parrebbe quasi confortante non pensare a verificarsi, non aspirare a maturarsi e a essere creativi, non avere alcuna considerazione per il prossimo, alcun senso civico, alcuna compassione. Ma sì, rinneghiamo pure tutti i diritti conquistati a fatica, oltraggiamo le minoranze, le donne, i bambini, e chi mostra intelligenza facendo risaltare la meschinità del senso comune... tuttavia con tali attitudini non si è affatto felici, bensì tremendamente disperati, e soli. Tutto gira intorno a te, ti illude la pubblicità, per farti regredire al peggio dell'adolescenza: egocentrismo, menefreghismo, spietata presunzione; crogiolati pure nel sognare che tutto gira intorno a te, mentre vieni schiacciato da un sistema massimamente prevaricatore!

In modo esemplare, da manuale di Psicologia, l'Ombra del singolo e dell'intera società è proiettata con edonismo negativo: non viene consapevolmente affrontata ma viene effettivamente rimossa con la sua ostentazione; viene osannata sino a che pare legittimata, inevitabile, quasi eroica. Questo abnorme equivoco ci attanaglia, guastando le nostre vite deprivandoci dell'amore e della vera creatività, che sostituiamo con la scaltrezza e la trasgressione. Soprattutto la trasgressione viene esercitata come rituale per coprire il non saper vivere. Come ho detto più volte, anche l'Arte si prodiga a rispecchiare tutto questo, tutta questa miseria.

 Ma io sto parlando a ciò che è innocente e creativo, a ciò che ineffabilmente s'espande in creatività ed intuizione, a ciò che non teme, a ciò che non rinuncia ad avere fiducia, a ciò che resta ridente. E da tutto questo traggo le parole. Si riconosce il marcio per prendere le distanze ed esaltare la naturale freschezza, per compiacersi di quella forza primigenia che non può essere corrotta, e che ci insegna a essere profondamente noi stessi.

domenica 31 ottobre 2010

Satvat-pensiero creativo: un nuovo sito al servizio degli artisti

Ho totalmente rinnovato il sito satvat-pensierocreativo.blogspot.com, e l'ho riservato agli scritti che ho composto per artisti contemporanei, affiancandoli con quelli che ho dedicato agli artisti “storici”. Nella mia intenzione, questo sito vuol essere l'occasione di presentare un panorama artistico certamente parziale ma ispirato, che affianchi senza timore degli artisti emergenti ad altri universalmente conosciuti. L'idea del “mostro sacro”, nell'Arte come in ogni altra cosa, è una perversione della mente che ci aliena dalla possibilità di riconoscere ciò che è realmente sperimentabile.

Senza, ovviamente, voler togliere nulla alla giusta considerazione dei grandi artisti, intendo dire che ciò che va principalmente celebrato è il miracolo della creazione artistica, che anche il più misconosciuto degli artisti contribuisce a conformare ed alimentare. Invece no, si tende a porre il “grande fenomeno”, il grande artista sul piedistallo, allontanandolo dall'intima confidenza che potremmo stabilire con il suo lavoro come con l'Arte stessa. Così il mondo dell'Arte diviene un Olimpo inaccessibile, adorato principalmente come oggetto d'investimento finanziario e allontanato dal senso comune. Cosa che è essenzialmente un male contemporaneo, estraneo al fermento viscerale e socialmente condiviso che ha fondato l'Arte Moderna. E la moltitudine degli artisti che continuano ad alimentare con la loro vita e la loro ricerca la fiamma imperitura dell'Arte? Sono esclusi e trascurati, non si dà loro voce né possibilità di partecipazione. C'è, è vero, una proliferazione di siti d'Arte sul web che promettono di dar loro visibilità, ma purtroppo spesso sono solo operazioni interessate, tutt'altro che appassionate.

Da molti anni scrivo presentazioni di artisti emergenti, con il piacere di condividere i tesori del loro lavoro, cogliendone le sfaccettature più profonde e significative. Questo impegno, nato per gioco ed amicizia, mi ha dato molte soddisfazioni, la prima delle quali è stata sempre il riconoscimento, da parte dell'artista su cui ho scritto, delle intime motivazioni della sua anima. Trovo naturale, dopo l'esperienza maturata nel artistainteriore.blogspot.com, proporre una carrellata dei pochi scritti che sinora ho conservato (anche in questo sono in genere poco conservatore!), aprendo il nuovo blog satvat-pensierocreativo.blogspot.com ad un futuro di nuove condivisioni e nuove esperienze.

Abbiamo bisogno di creare e di far circolare un'Arte positiva, che sappia ispirare bellezza e fermentazione creativa; a questo consacro volentieri la mia meditazione e la mia penna.

martedì 26 ottobre 2010

Van Gogh - la mostra al Vittoriano

VINCENT VAN GOGH: CAMPAGNA SENZA TEMPO E CITTA' MODERNA
dal 8 Ottobre 2010 al 6 Febbraio 2011
Roma - Complesso del Vittoriano
Via di S. Pietro in Carcere

Davanti alle tele di Van Gogh, salgono brividi spremuti dai colori, vivaci e gravidi di succo come frutti maturi. In questo modo il pittore ha rappresentato i propri sogni visionari: plasmandone la polpa rigonfia, aprendo il suggello delle proprie viscere e scendendo in fondo alla miniera, per trarne le gemme rilucenti. Ne ha provato il brivido ancestrale, trovando il dinamismo sinusoidale dell'anima che ha abolito ogni rigore figurale; tutto risulta in moto, nell'irrefrenabile mutazione della Vita, che uomini più pavidi hanno cercato inutilmente di raffrenare. L'artista, figlio di quel tempo, non ha potuto sostenere tutto questo nella propria personalità; conservava una rigidità dolente, poco meditativa, tuttavia non si è sottratto, sino ad esserne spezzato. Ma il suo coraggio d'avventuriero ha comunque reso la preghiera urlante della sua pittura ben più preziosa e più vera di ogni salmo, di ogni recitazione canonica.

Il dramma s'avverte maggiormente nelle visioni metropolitane di Van Gogh, teatro d'aspro confronto ed emarginazione; ma anche in queste il pittore ha calato un umore intimistico, profondamente umano e infuso di compassione. Pure la città moderna non ha potuto limitare la proliferazione dell'interiore, che è ascesa glorificandosi in notti stellate e turbinanti.

Riflettendosi nella Natura campestre, Van Gogh si è scoperto più orientale, trasfondendo il proprio amore per le stampe giapponesi. La sua esplorazione silvestre ha un'afflato non piattamente naturalistico, bensì animato da un soffuso senso di satori, la rivelazione zen che l'artista aveva inconsciamente respirato insieme all'Arte dell'Estremo Oriente.

In definitiva, la mostra del Vittoriano è un'occasione per aprire il cuore, partecipando alle visioni poderose di questo grande artista, patriarca involontario della coraggiosa individuazione dell'uomo e della Pittura.

venerdì 22 ottobre 2010

Van Gogh

Prendendo lo spunto dalla mostra romana su Van Gogh, torno a parlare di questo artista straordinario, che ho citato su molti dei miei libri. In lui si sono concretizzati tutti i sogni indomiti, le ispirazioni celesti e infernali, i conflitti, le intuizioni delle forze segrete delle materie, le vertigini ispirate che appartengono ad ogni artista. Van Gogh ha vissuto tutto questo con coraggio, catarsi primordiale e sacro tremore, pagando un pesante tributo all'allora nascente individuazione dell'individuo/artista; tuttavia la sua opera, pur tragicamente carnale, ha trovato la via di un'ascesi che tuttora commuove ed insegna. Non come sogno spiritualista, bensì come intensa alchimia che ha approfondito con forza le viscere dell'uomo quanto della materia pittorica; lì il pittore ha frugato, rovistando le scorie sino a trasfigurarle nella luce. Per questo la sua pittura non si è spenta, ma cova come brace sulla tela, sensibile ad ogni alito contemplativo per rinfocolarsi e sprizzare meraviglia.

La pittura di Van Gogh ha vissuto profondamente il suo tempo, mettendo radici nella pietra lavica, con tenacia inaudita e disperazione, ma ciò che egli ne ha tratto è un singulto della visione che ha trasceso il tempo, divenendo immortale. E profondamente gioiosa, nonostante tutto, mostrando il tesoro irrinunciabile dell'arte, che nessun artista deve mai dimenticare. Allora, agli albori dell'Arte Moderna, quel fulgore materico e veritiero, gettato dal pennello, è stato ritenuto rozzo dai benpensanti che volevano principalmente anestetizzarsi nell'arte, sentendosi rassicurati dall'estetica tradizionale; ma quella forza primigenia, avulsa dai compromessi, era una pulsazione di vita che niente ha saputo soffocare. Questo apprezziamo, sensualmente godiamo, spiritualmente riconosciamo, sentendoci intensamente grati.

giovedì 21 ottobre 2010

Quand'è troppo...

Ho deciso di chiudere la mia galleria. Si può pensare sia dovuto alla crisi finanziaria, ma è soprattutto a causa della crisi d'anima e di intelligenza. Dopo che, negli ultimi tempi, mi sono trovato ripetutamente a dover spiegare la differenza tra un dipinto e un poster, e avendo constatato che nella gente è diventato quasi impossibile scovare un cuore sensibile, non resta altro da fare. Alcune chicche tratte dalla massa delle banalità arroganti e dai non-senso:
Voglio un quadro identico a questo, ma con altri colori.
Questo quadro andrebbe tagliato di almeno 50 centimetri.
Voglio un quadro che si intoni alla tappezzeria del divano.

Meglio, molto meglio la mia clientela speciale, e il pubblico più intelligente e motivato che frequenta le mostre, e le persone straordinarie che incontro nei miei seminari. Come dice l'I-Ching, quando l'oscurità avanza il saggio si ritira. A Orvieto rimarrà per ora il mio atelier, visitabile su appuntamento. Persa ogni speranza della rinascita culturale di questa bella città franata nella piena decadenza, è possibile che si migri in lidi più vitali. Intanto mi ritiro dalla volgarità per far meglio il mio lavoro, per rivolgermi meglio a chi sa ancora ascoltare, a chi non si è dato per vinto. Conosco la grande forza spirituale della creatività, e questo continuerò a condividere con le mie mostre e i miei workshop, anche tramite il web.

E pensare che è dall'87 che gestisco una mia galleria, scelta impegnativa e un pò atipica per un artista, ma utile per non sottostare ai biechi meccanismi del mercato dell'arte. Vivere con l'arte non è mai stato facile ma, come ho verificato nella mia lunga esperienza, da un paio d'anni si è proprio toccato il fondo della stupidità, del cattivo gusto e dell'incapacità di percepire. Guardo le persone e penso: Ma che vi è successo? E la risposta è chiara. Il Grande Burattinaio ha tirato bene i suoi fili, con le sue televisioni, i suoi giornali, e i grandi investimenti nella paura. Ha creato una moltitudine di zombi ignoranti e infelici, che non sanno più alzare gli occhi al cielo. Mi dispiace per loro, ma non voglio condividere questo.

Credo nella meditazione e nell'arte, credo nell'amore e nell'essere umano, e so che è possibile, benefico e liberatorio condividere tutto questo, solo questo per non lasciarsi trascinare dalla spirale involutiva.

PURA VIDA

giovedì 30 settembre 2010

Arte e Mito

Dall'inizio del Novecento molti artisti riproposero la figurazione del Mito, soprattutto ispirata all'antica Grecia; ciò risultava assonante con il nuovo linguaggio interpretativo della Psicanalisi, che procedeva mediante la decodificazione mitologica dei sogni e delle pulsioni interiori. L'iconicità classicheggiante e mitica dell'Arte, sottolineava la drammatica storicità dell'uomo, lo sforzo eroico della sua autodeterminazione, ed anche l'introspezione psicanalitica. Ma in qualche modo si trattava di un ripiego, di una titubanza a volgersi al nuovo. Trovo più interessanti i ribaltamenti prospettici per cui, ad esempio, Chagall dipingeva miti famigliari tratti dalla sua intensa nostalgia, o i surrealisti mitizzavano i loro sogni assolutizzati e non classificabili. A mio parere, la vera svolta accadde con la rottura della figura, andandando verso l'astrazione. Il richiamo miticamente tribale fu decostruito e ricreato dal cubismo; anche l'astrattismo, ad esempio in Kandinsky, ha saputo rievocare le atmosfere del Mito, in modo affatto figurale ma straordinariamente efficace. E questo è il punto a cui intendevo arrivare con queste brevi note.

Il Mito ha cessato di essere una memoria collettiva per divenire un'esperienza individualizzata. Un mito privo di figurazioni non può certo divenire memorabile ed esemplare; richiede d'essere ricreato e vissuto, in modo sempre originale, nell'esperienza soggettiva. Non abbiamo ancora saputo cogliere le opportunità e le implicazione di tale rivoluzione, che si apre sulla libertà responsabile dell'individuo. Voglio dire che, partendo da allora, l'opera d'arte va a presentare un Mito che non è predefinito, ma che dev'essere co-creato dall'artista e dall'osservatore. I grandi artisti moderni, soprattutto con la non-figurazione, procedettero essenzialmente a creare degli schermi immaginativi fluidi, per stimolare la proiezione mitica. Vedo in questa chiave i dipinti di Rothko, di Baziotes, Congdon, Hundertwasser, Corneille, Pausette-Dart, e di moltissimi altri. Soprattutto la Pittura, ha inteso divenure il teatro libero dell'immaginazione mitica, lasciando certamente dietro di sé una serie di tentativi estremi e abortiti, come ad esempio i dipinti monocromi.
Dovremmo avere una maggiore chiarezza sul fatto che l'uomo resosi individuo, sia come artista che come estimatore dell'Arte, può essere il creatore ed il fruitore di un Mito non codificato che non è univoco ma molteplice, tuttavia perfettamente condivisibile in virtù della saggezza ispirativa e meditativa dell'Arte. Vale a dire che l'intima assonanza, la rispondenza interiore dell'opera d'arte può essere una fonte universale d'Ispirazione, di Anima, che ognuno può tradurre intuitivamente al proprio livello. In questo senso l'Arte ha intensamente partecipato alla creazione dell'individuo ed alla sua rivendicazione dell'anima.
Nel dopoguerra, era questo che bolliva in pentola, coinvolgendo profondamente gli artisti e il pubblico; ma non è stato sufficientemente compreso, perciò alla fine il fuoco è stato spento dalla più dannosa restaurazione, che ha riportato il Mito al di sopra dell'uomo ma con una brutale differenza. Infatti quella zuppa vivente e nutriente è stata soppiantata dalla zuppa inscatolata di Andy Warhol, riprodotta in serie e mistificata come icona. La pop-art ha soffocato il Mito soggettivizzato, spacciando il mito plastificato delle immagini del consumismo; il sogno collettivo e pubblicitario del progresso materialistico ha divelto il processo dell'anima nascente, imponendo le sue icone standardizzate e senz'anima. Da ciò la stessa Arte ha capitolato naufragando nel concettuale, ossia decadendo dall'Anima alla mente.

L'Arte è uno specchio dell'uomo, ed attualmente ci sta mostrando la nostra fondamentale mancanza d'Anima. L'odierna povertà d'energia e di cultura determina l'incapacità di creare il nuovo, e ci ammonisce a ritrovare il potere dell'immaginazione mitica; non con le antiche coercizioni, ma con la creatività spontanea e meditativa che fluisce dal cuore, liberando la nostra anima negata.

domenica 12 settembre 2010

Arte e Anima



Satvat - Trionfo di Primavera - acrilico su tela, 2010


L'anima non vede il mondo come un teatro di oggetti ed eventi finiti, ma con il senso vivente che essa evoca tramite l'immaginazione, per sperimentare la realtà misteriosa del “dentro”. James Hillman ha scritto: - Anima crea ricettacoli in ogni luogo, in qualunque luogo, per il fatto stesso di entrarvi dentro. Lo strumento con cui fa questo è la fantasia. I fenomeni prendono vita e diventano portatori di anima attraverso le nostre fantasie immaginose su di essi. Quando non abbiamo fantasie sul mondo, il mondo è oggettivo, morto -.
Vi è però una fantasia impotente, che è incapace di sentire e quindi di dare un cuore pulsante alle cose, che è semplice divertimento e distrazione, è c'è la nobile fantasia che è investita del potere dell'immaginazione. Questa non si inventa, bensì si trova. Bisogna saper ascultare, trovare il battito segreto e porsi con questo in risonanza, la brace del proprio cuore deve giungere in contatto con la brace sepolta in ciò che si sta contemplando. Allora può catalizzarsi la vivida fiamma che brucia le nostre zavorre per portarci a volare: la fiamma della visione, dell'Amore, dell'Arte.
Tale immaginazione non è mai nuova né stravagante, ma è spontaneamente radicata nel linguaggio del mito, del simbolo e della parabola; per questo risulta straordinariamente nuova, sempre fragrante, poiché rinasce in ogni volta del cuore, profondamente poetica ed intimamente riconosciuta.
Questo è il linguaggio dell'Arte, che ci offre i suoi quadri viventi di Anima, affinché possano ispirarci. Le autentiche opere d'arte sono specchi levigati con dedizione dall'artista, che si è lasciato ispirare per aver occhi più puri, accorti nel sanare le opacità causate dal proprio ego. Se su queste opere ci si affaccia, riflettono non le turbolenze della persona, la maschera, ma le risonanze profondamente immaginative dell'essenza, provocando sinergie di comunione.
Per esserne capace l'artista usa il culmine del proprio talento, che è l'innocenza. Questa è l'Arte oggi negata, quella più vera ed attuale che continua a manifestarsi in ogni cuore rapito e sincero.

venerdì 10 settembre 2010

Qualche novità

Con l'inizio di settembre si ha sempre l'impressione di iniziare un nuovo ciclo, anche chi, come me, ha lavorato tutta l'estate. E' un momento di riepilogo, di nuovi pensamenti e progetti. Nella mia vita e nel mio lavoro nell'arte ci sono novità e grandi trasformazioni, alcune delle quali ancora al livello sotterraneo, ma le sento nell'aria del mio cielo interiore come quando si annusa un temporale che deve ancora giungere,  oppure nel buio si assapora la fragranza dell'alba che si sprigionerà da li a poco.
Qualche novità:

Il mio nuovo libro sulla scrittura creativa è in corso di pubblicazione con Xenia edizioni. Non sarà in libreria prima di Marzo 2011, bisogna aspettare un pò ma sono contento perché con Xenia ho già pubblicato il libro L'Artista Interiore, che mi ha dato molte soddisfazioni, soprattutto nel senso che lo ho condiviso con molti lettori entusiasti. Diversi amici mi avevano chiesto notizie sulla pubblicazione del libro sulla scrittura: ci vuole un pò di pazienza ma, ve lo assicuro, ne vale la pena.

Sto ultimando un nuovo libro, intitolato La Caccia all'Anima - riprendiamoci l'anima rubata. E' stato un fulmine a ciel sereno anche per me, ma quando il Creativo chiama la cosa sprizza da dentro come in un fico maturo. Ne sono commosso e sto rispondendo con totalità e dedizione.

In programma una serie di mostre, a Roma e altrove. Stiamo anche preparando il nulvo calendario dei corsi. Insomma ci si dà da fare.

Vorrei concludere con una cosa che mi ha scritto una pittrice spagnola surrealista:

Arte que se sumerge en el inconsciente e igual que Klee y Miro crea su propio código simbólico místico que rompe el tiempo con sus lineas de danza derviche y lleva al espectador a danzar en la lectura de la obra. Igual que ellos, es de considerarlo un verdadero surrealista, ya que no se apoya en la imagen y toma el contenido místico como tema de todo su trabajo.

Julliet Ramirez Hernandez

venerdì 27 agosto 2010

Il test degli yantra angelici

Diversi anni fa ho creato 8 yantra speciali, che costituiscono un vivace insieme simbolico. Li ho inizialmente realizzati come gioielli, e poi per il mio libro L'Artista Interiore li ho trasposti graficamente, per un utilizzo non strettamente personale ma volto anche alla riarmonizzazione dello spazio.
In questo blog, in basso a sinistra, li ho organizzati per essere un test piacevole e rapido per la riflessione personale. Utilizzarlo è semplicissimo: basta scegliere intuitivamente quello che al momento appare più rispondente, poi seguire le istruzioni poste sopra le 8 foto.
In questi anni ho utilizzato i disegni di questi particolari yantra in vari modi, anche più complessi;  chi fosse interessato può  consultare il libro L'Artista Interiore.

giovedì 26 agosto 2010

La pennellata zen di Osho

Ama, canta, balla, non per competere, ma come chi vuole condividere la sua gioia, le sue canzoni e le sue danze con i suoi “compagni di umanità”. Qualsiasi cosa tu abbia... e ogni essere umano ha qualcosa di unico con cui contribuire al mondo.
Osho
The rebel #25

Intendo iniziare, su questo blog, una rubrica intitolata: La pennellata zen di Osho. Ho ricevuto talmente tanto da Osho, che è naturale che io lo travasi. La sua ispirazione ha portato la mia creatività a traboccare oltre le limitazioni dell'ego, ed è con gratitudine che pianto i suoi fiori consapevoli nella pagina dell'Artista Interiore, sapendo che il loro profumo saprà inebriare le anime volte alla creatività ed alla meditazione. 
Pertanto uno spazio speciale sarà dedicato alle sue illuminanti parole sull'Arte e sulla creatività che, anche se presentate in modo conciso, hanno la totalità e l'espressività vertiginosa di una pennellata zen. Sono sicuro che i miei amici si innamoreranno, come me, delle sue parole sgorgate spontaneamente dal cuore silenzioso ed immensamente creativo dell'Esistenza.

lunedì 23 agosto 2010

Alchimia gioiosa

Satvat - Alchimia gioiosa - acrilico su tela, 2009
Alchimia è il processo misterioso che porta la Vita ad evolversi, tendendo naturalmente a realizzare il massimo del potenziale. Ciò riguarda l'esteriore, l'apparire di questo mondo meraviglioso, e l'interiore, la propulsione internamente misterica del processo vitale. L'alchimia l'abbiamo connaturata in noi stessi e, come esseri umani possiamo alimentare consapevolmente le nostre facoltà di trasformazione e di realizzazione: nel corpo, amministrando saggiamente la forza vitale (yoga), quanto nella nostra dimensione più sottile che culmina nello Spirituale.

L'Arte è profondamente alchemica, e trasforma le materie per realizzare un apice di significato. Significato che, essendo radicato nell'essenza della Vita, non è ad una sola dimensione, ma ha risonanze molteplici che coniugano un linguaggio che l'Anima può riconoscere e condividere. In qualche modo un'opera d'arte si compie come "pietra filosofale" che può catalizzare forze latenti, portandole a fioritura. Perché ciò sia possibile l'artista deve porsi con l'umiltà speranzosa ed innocente dell'alchimista. Pur se egli attraversa, nel corpo e nell'anima,  le diverse fasi del processo alchemico che, soprattutto nei primi stadi, sono drammaticamente infuse nel pathos, tale alchimia è fondamentalmente gioiosa e liberatoria.

giovedì 19 agosto 2010

Artisti che amo:Endre Rozsda

Endre Rozda - Iniziazione - olio su tela, 1976
Endre Rozsda (1913-1999), pur travagliato a lungo da una vita disperata, è riuscito a partecipare insieme ai grandi artisti del '900 alla rivoluzione dell'Arte Moderna. Egli ha attraversato il suicidio del padre, la più grave indigenza, la guerra, le purghe antisemite del nazismo, le censure dello stalinismo, la segregazione in Ungheria (il suo paese di nascita); nonostante tutto ciò ha mantenuto acceso il fuoco sprizzante della propria creatività, e proprio questo lo ha sospinto come viandante coraggioso e clandestino verso la libertà.. Attratto come una falena dal faro creativo che allora era a Parigi, varie volte è dovuto tornare sui suoi passi, ma senza scoraggiarsi ha continuato a forzare la mano ad un destino ingrato. Infine ha conquistato la vibrante libertà dell'Arte ed un'intima soddisfazione interiore, come mostra la sua opera straordinaria.

Nell'Arte egli ha sognato un mondo in cui poter camminare avanti e indietro sulla “dimensione del tempo”, ed infatti è andato al di là del proprio tempo, così come dovrebbe fare ogni artista. Infatti la dimensione temporale, come l'esprit di un'epoca, è relativa ed illusoria, e l'artista dovrebbe impegnarsi nel ricercare e manifestare il sempre presente. Rozsda si sentiva “contemporaneo di avvenimenti antichissimi”, perché aveva raggiunto il mondo delle matrici, scomponendo la visione in infinitesimali frammenti per recuperare una visione non prosaica, ma esotericamente dilatata nell'intero. Contemplando la sua pittura mi emerge con insistenza il mito di Osiride: la Divinità smembrata nell'apparenza mondana dev'essere rigenerata investigandone e riconnettendone i frammenti. Per questo, come i grandi artisti, Rozsda ha cercato il battesimo del Caos, sforzandosi di creare "una superficie torbida su cui poter cominciare a cercare". Su questa ha scomposto le sue visioni nei più minuti dettagli, rintracciando, come in un puzzle, ciò che combaciava con lo Spirituale.

A mio parere la sua opera, rimasta piuttosto al margine delle grandi celebrazioni dell'Arte, è oggi più contemporanea di molte altre che attualmente infestano le gallerie, dato che risponde con mezzi ancora efficaci ad una bruciante domanda sullo Spirituale che l'Arte Contemporanea tende ad evitare. Ma io continuo a sognare che ogni artista approfondisca se stesso ed il proprio lavoro, sino a poter dire con Rozsda: "Illumino oggetti e uomini. Sveglio chi dorme, illumino i morti".

sabato 14 agosto 2010

Il gioiello: arte dimenticata?


Satvat - Danza siderale - 2010

Ritengo di essere uno dei pochissimi continuatori dell'arte del gioiello. Intendo di un gioiello realizzato totalmente a mano, come pezzo unico che presenta un disegno esclusivo nato da un'intuizione originale. Non se ne fanno più così, e certamente poche persone oggi ne mantengono viva la maestria. Si procede invece con lavorazioni industriali, dove in catene di montaggio operano operai espropriati da ogni creatività, che sanno fare solo un tipo di operazione in modo meccanico e ripetitivo. Vedendo le mostre dei gioielli antichi ci si entusiasma per la loro ricchezza espressiva e per lo straordinario talento degli artefici, ma poi si acconsente tacitamente alla perdita di quell'arte straordinaria. Spesso penso alla triste miseria che giungerà da noi ai posteri: nessuna vetta della realizzazione creativa, ma solo ingombrante spazzatura di una tecnologia ormai sorpassata.

Generalmente anche i pochi artigiani rimasti lavorano il modello del gioiello nella cera, e da questa si trae una fusione. Ben più complesso e significativo è lavorare direttamente il metallo come faccio io: ci vuole un'intima conoscenza delle materie e delle molte fasi della lavorazione, una sapienza operativa maturata negli anni. Anni di profonda dedizione, sperimentazione e amore, poiché altrimenti non si potrebbe mantenere quest'arte che, come ogni altra, dilata il tempo liberandolo dal coercitivo rapporto tempo=denaro. E' sempre l'amore che riscatta l'oggetto dall'essere una merce senz'anima, trasfigurandolo in un dono dell'intuizione, in un'opera d'arte. La laboriosa lavorazione manuale trasmette con purezza la vibrazione spirituale che ha attraversato l'artista. Il pezzo unico può nascere anche in modo dedicato, riflettendo con saggezza le esigenze profonde del cliente. Il gioiello d'autore non è mai ripetitivo, ma sperimenta le Vie entusiasmanti e innovative della creazione. Così l'arte del gioiello è vera arte, non un'arte applicata di modesta rilevanza.

E l'artista, realizzando le proprie visioni creative, impara moltissimo sulle materie, sullo stile, e su se stesso. Infatti, come ben sapevano gli antichi artisti-magi, nella fucina dell'Arte non si lavora solo con le materie esteriori, ma anche con quelle della propria anima. Ogni operazione ha un corrispettivo interiore: quando si compone un gioiello, si crea un disegno armonioso in se stessi; quando si salda con il fuoco, si uniscono parti profonde del Sé; quando si taglia l'oggetto con il traforo, si realizza spiritualmente una nuova nascita; quando si usa la lima, si sgrezza la pesantezza del pensiero; quando si polimenta, si esulta anche della propria brillantezza. Tutto ciò è insito nel processo creativo. Secondo la mia esperienza, nell'arte del gioiello confluisce anche la saggezza ancestrale delle pietre preziose: ognuna è un tesoro occulto originato da straordinarie alchimie terrestri, tanto da divenire un simbolo, un ricettacolo di bagliori energetici e di spirituale piacere.

Possiamo davvero rinunciare a tutto questo, ornandoci con patacche industriali magari venalmente preziose ma mancanti d'originalità, di gusto, di amore del lavoro e di intuizione, in definitiva mancanti d'anima e di cultura?

domenica 8 agosto 2010

Libertà creativa

Come esseri umani aspiriamo naturalmente alla libertà, tuttavia sembra che ciò sia spesso mal compreso e vissuto in modo contraddittorio. A ben vedere, si agogna principalmente ad una "libertà da" qualcosa, principalmente ad una libertà dalle costrizioni. Non ci si accorge che ciò si trasforma comunemente in un impeto reattivo e poco creativo, che ci assoggetta al contesto anziché liberarci. Nella "libertà da" non ci mettiamo veramente in gioco, non contattiamo quelle che sono le nostre più intime risorse. Nell'Arte questa attitudine si manifesta nel "fare contro", ossia si opera in reazione a qualcosa; ma ciò non rivela affatto ciò che può liberamente scaturire dall'interiorità dell'artista.

Al contrario, credo che l'autentica libertà sia una "libertà per". La "libertà per" non ci appiattisce nello scontro con l'esterno, bensì ci mette in profonda connessione con quelli che sono i nostri talenti, con la nostra originale capacità creativa. Come non si può "amare contro", non si può nemmeno "creare contro", o almeno ciò che ne deriva non può essere una vibrante creazione. Si ama "per", muovendosi esistenzialmente per raggiungere qualcosa che ci ha profondamente toccato; ovviamente si potranno incontrare degli ostacoli ma, poiché si è in connessione con una straordinaria spinta interiore, non ci si esaurisce, ed alfine si troverà la strada. Si dice infatti che l'amore smuove le montagne. Con la creatività è lo stesso. La "creatività contro" ci schianta contro le difficoltà e la disperazione, a cui possiamo rispondere solo con un urlo dolente. Invece la "creatività per", per realizzare ciò che innocentemente sgorga in noi stessi, per quanti ostacoli potrà incontrare originerà un canto, che è un riverbero spontaneo della nostra anima; infatti resteremo integrati in un Potere che non è solo nostro, ma che è radicato nell'inesauribile serbatoio d'energia dell'Esistenza.

giovedì 5 agosto 2010

Ribellione creativa


Satvat - L'Uomo Nuovo (tributo al futurismo)- acrilico su tela, 2009

L'essere creativo concepisce il nuovo, e ciò comporta necessariamente muoversi controcorrente. La mente di massa perpetua l'abitudine, ciò che è ripetitivo e scontato, non brillando d'alcuna originalità. Perciò l'artista si trova a operare tra le prevenzioni e le incomprensioni, dovendo aprire faticosamente il proprio sentiero originale. Seppure, dopo la necessaria maturazione artistica e animica, la creatività sgorga in lui come moto spontaneo dell'anima che aspira ad una naturale condivisione, egli deve agire come un rompighiaccio sulla coltre gelata che generalmente ricopre il cuore delle persone. Se intende comunicare il proprio lavoro (e la verità intrinseca del creativo esige risonanza) deve incontrare coraggiosamente le intemperie dell'inganno sociale, non può rimanere al sicuro in una torre d'avorio. Ciò richiede ovviamente un gran dispendio di energia e la rinuncia ad alcuna certezza, e fa di lui un outsider sociale, una figura estrema e difficilmente accolta. In verità l'artista, come ogni ricercatore di verità, è tutt'altro che estremo e alieno: più di ogni altro è potenzialmente vicino a se stesso e alla Vita, dato che si impegna ad essere in sintonia con il flusso naturale e spirituale dell'Esistenza.

La società che abbiamo creato nella nostra inconsapevolezza è effettivamente aliena, artificiale e corrotta, ma per lo sguardo plastificato dei molti è lui ad essere distorto, sradicato e incomprensibile. Questo provoca ostracismo, anche perché, al livello inconscio, la massa specchia in lui tutto ciò che ha pavidamente rinnegato: la libertà, l'autodeterminazione, l'aspirazione alla bellezza ed alla grazia, il mantenersi vicino alla naturalità spirituale e non dogmatica dell'essere. Ciò scatena invidia, giudizio e reazione. Possiamo ad esempio guardare allo scandalo provocato dalle avanguardie artistiche del '900 nella mente dei benpensanti. La mentalità odierna è diversa, non ha neppure il coraggio di denunciare lo scandalo, ma lo soffoca nella somma indifferenza; al contrario, in qualche modo apprezza una sterile trasgressione “artistica”, tanto di moda, che ben si coniuga con la sua cattiva coscienza.

Comunque l'artista deve stare attento ad una trappola che spesso scatta automaticamente: seppure è mosso sulla Via dell'Arte da un moto naturalmente positivo, le molte difficoltà incontrate lo inaspriscono, tanto da corrompere l'azione in reazione. In tal caso egli agirà “contro”: contro le mancanze di verità, contro gli schemi, contro la propria disperazione. Ma l'agire reattivo è tutt'altro che liberatorio, ed affatto infuso nell'autentica creatività, anzi contribuisce ad alimentare le pastoie soffocanti della mente di massa. L'agire creativo è invece un moto spontaneo che non risente di alcun condizionamento, sia esterno che interno, e che per questo mantiene una brillantezza di gioiosa celebrazione. Per allinearsi con tale flusso primigenio, l'artista (come l'individuo in generale) deve crescere personalmente tanto da elevarsi oltre i propri conflitti, oppure potremmo dire che deve maturare l'innocenza. L'artista è un ribelle perché si volge alla spontaneità consapevole e celebrativa del proprio sentire, che è radicato nel Tutto, e tale inclinazione naturale appare ribelle solo perché la costruzione fallimentare e coercitiva del sociale si oppone alla verità creativa e fondamentalmente semplice, ma entusiasmante, della Vita.

domenica 1 agosto 2010

Dipinti su ordinazione


Mi sono trovato più volte a realizzare dei dipinti su ordinazione, ma mai tre quadri a fila come è accaduto ultimamente. Ho lavorato su temi molto diversi e per me inconsueti: Nocera Umbra che risorge dal terremoto, una composizione musicale con un violino, un dipinto raffigurante dell'uva per una cantina di Montepulciano.

Dedicarmi così intensamente a questo tipo di lavoro, ha favorito una serie di riflessioni. Innanzitutto il dipingere su commissione, su un tema specifico o con un particolare linguaggio pittorico, porta l'artista a cercare un punto d'incontro tra quelli che sono i moti spontanei della sua anima e le aspirazioni riflessive del committente. Se ciò si realizza in modo bilanciato, non comporta una diminuzione stilistica né espressiva; al contrario, ho sperimentato che può essere un'occasione di approfondimento. Si stabilisce infatti una comunicazione d'anima tra il pittore e il cliente, che rende presente quest'ultimo nel sogno creativo dell'opera.

L'operare artistico è sempre un atto d'amore, in cui l'artista è attraversato da un flusso che va a concretarsi nella definizione dell'opera, il cui destinatario è ignoto. L'autore non è solo un amante della creatività che lo sospinge, ama anche l'opera che nasce in se stesso e tra le sue mani, e inesplicabilmente ama anche lo sconosciuto colui che nel tempo ne verrà toccato tanto da sceglierla. Spesso le opere attendono per lungo tempo la persona giusta con cui stabilire un culmine d'assonanza. Nel caso di un lavoro su commissione, il destinatario è conosciuto e, per quanto poco l'artista possa conoscerlo, questo determina una sostanziale differenza. Si stabilisce una richiesta specifica, e a questa l'artista si appresta a rispondere, allineando le proprie correnti interiori con quelle che motivano il cliente. Per questo, quando mi viene chiesto un lavoro su commissione, sia questo un dipinto, un gioiello o qualcos'altro, trovo importante saper stabilire, da parte mia, un'empatia sottile con il committente. E' in qualche modo un accadere intimo e delicato, un'ulteriore riprova dell'umiltà che sempre dovrebbe sostenere l'artista, in definitiva un evento che può risultare stimolante e felice.

sabato 31 luglio 2010

L'arte della visione 2

Nella Natura l'immagine visiva è manifestazione di una realtà vivente, ed ha la facoltà di attrarre in modi specifici. E' nota ad esempio l'attrazione dei colori (ma anche delle forme, pur se queste hanno altre specificità funzionali) nei rituali della sessualità, sia quella di un fiore, di un animale, o di un essere umano. L'immagine naturale seduce, avverte, determina vicinanza o repulsione; l'immagine dell'Arte deve avere una risonanza ben più che naturale, capace di ispirare un brivido spirituale, una percezione raffinata che susciti tramite l'esperienza individuale dell'artista un'universalità condivisibile. Affinché ciò possa verificarsi, l'artista deve addentrarsi nei codici dell'esperienza naturale, risalendone il flusso sino alla sorgente. Una volta là, l'immagine scaturisce con la pura forza dell'intuizione: non è più un'immagine naturale bensì trasfigurata, una allusione manifesta di un mistero inesprimibile. L'artista è risalito al regno inesplicabile delle matrici, per cui la sua esperienza formativa dell'immagine è corroborata da un senso ancestrale che resta ineffabilmente evocativo su molteplici livelli. Una tale immagine è un'icona aperta, che propaga i segreti dell'intuizione.

Perciò non ha senso dipingere una casa, un viso, un panorama, per quanto il segno sia accurato e rispondente, se quella immagine non è infusa nel magma archetipale della matrice. Per questo i grandi artisti moderni (e non solo loro) hanno risolutamente negato l'apparenza per risalire come salmoni il flusso misterico dell'Ispirazione. Hanno ricercato la realtà nebulosa ma straordinariamente potente della matrice, dell'alfabeto segnico primevo dell'immagine. Procedendo dal dentro al fuori (come diceva Pollock) si persegue l'incedere naturale, ma con una brillantezza intuitiva che incorona l'artista come il testimone consapevole del segreto formativo e visionario del Tutto.

venerdì 16 luglio 2010

L'arte della visione


L'arte di vedere è prerogativa nobile ed irrinunciabile dell'essere umano. Consiste nel saper cogliere, con occhi limpidi, la verità di ciò che è, e la cosa è ben più complessa e significativa di quanto la nostra abituale attitudine all'ovvietà sappia mostrarci. Mediante gli occhi fisici, guardiamo con gli occhi dell'anima che sanno penetrare la ferma apparenza oggettuale sino a cogliere la vitalità interiore. Infatti la verità della visione non si ferma a ciò che è superficialmente omologato, ma scandaglia profondità misteriose. La dimensione di ciò che è visto, se è cosa vivente, non è affatto univoca e standardizzabile, ma si estende su molteplici livelli; perciò il nostro saper vedere ci porta a sperimentare come l'arcano esistenziale può essere percepito.

L'arte della visione ci conduce più vicini al mistero del vivente, ed è quindi una risorsa spirituale che può arricchire e maturare la nostra anima. Tutto questo è spontaneo ma affatto automatico. Può essere colto con occhi innocenti, aperti alla scoperta ed allo stupore, ma il problema è che i condizionamenti e l'abitudine offuscano gravemente la potenzialità visionaria dei nostri occhi, che iniziano ad agire non più come finestre dell'anima, bensì come organi asfittici, capaci di ricevere solo immagini plastificate. Perciò l'arte della visione, pur se è una nostra facoltà naturale, dev'essere insegnata, appresa e praticata.

Questo dovrebbe essere uno dei compiti fondamentali dell'Arte visiva: suggerire delle immagini che siano state coltivate, sviscerate e raffinate nell'esperienza visionaria dell'artista. L'immagine dell'Arte dovrebbe essere tanto fermentata nell'anima da divenire un vino capace di favorire l'ebbrezza della profondità della visione, un simbolo intraducibile in grado di scatenare la magia dell'assonanza con ciò che l'autore ha intuitivamente elaborato. Ovviamente sia l'artista che il pubblico dovrebbero essere educati a questo; dovrebbe essere chiaro che il fine dell'Arte visiva è quello di favorire esperienze spirituali della visione.

Se questa è stata la profonda esigenza dei padri fondatori dell'Arte Moderna, da lungo tempo (aimè!) si è scambiato il valore aureo della visione con la falsa moneta del concetto; ossia si attribuisce significato non a ciò che è reale, e che quindi può essere esistenzialmente sperimentato, ma ci si ingegna a creare realtà artificiali che sono proiezioni rese visibili dei fantasmi che agitano la mente. L'artista contemporaneo, in larga misura, non si impegna più nell'arte della visione, che potrebbe approfondirlo nell'interiorità universale del vivente, ma indulge nelle pastoie risibili del pensiero, con la somma arroganza di conferire loro un significato arbitrario. (segue)

martedì 6 luglio 2010

Artisti che amo: Mark Tobey

Parlando di Mark Tobey ho l'impressione di parlare di un intimo amico, tanto sono simili, alla radice, le nostre ricerche artistiche ed esistenziali. In qualche modo mi accorgo che le mie forme caleidoscopiche sono fiorite dallo stesso spazio pittorico che egli aveva meditativamente calligrafato. Seppure ciò può non essere evidente ad un primo sguardo, il fraseggio dell'anima in espansione è il medesimo, e scaturisce da simili comprensioni spirituali; per questo posso trovare nella sua pittura così tante risonanze e coincidenze, ad esempio con ciò che ho sperimentato nel tema di “universal web”.

La ricerca di Mark Tobey è nata da un'esperienza spontanea di non-mente. Era il 1918 e si era appena sparsa la notizia della fine della 1 guerra mondiale; egli scese in strada e si unì alla folla festante. L'enfasi celebrativa e collettiva portò la sua consapevolezza ad un apice di congiunzione con il Tutto, facendo svanire i muri percettivi con i quali la mente definisce la ristrettezza dell'io. Per l'intero giorno egli rimase in uno stato di estatica immedesimazione con l'accadere, senza imporre i filtri estranianti della coscienza razionale. Fu uno stato di rapimento mistico, che egli si impegnò a resuscitare nel suo successivo lavoro di artista. Infatti egli intese l'Arte come possibilità d'espandere la consapevolezza, e per realizzarla frugò profondamente in se stesso, avviandosi anche su percorsi coraggiosi che lo condussero in Cina e Giappone, dove praticò la meditazione e l'arte pittorica del Taoismo e dello Zen. In Oriente non cercò però il sogno illusorio di un'alterità, ma le Vie per divenire più autenticamente se stesso, e ne trasse un vibrante “impulso calligrafico”che celebrò con i suoi “white writings”. Paul Klee ebbe a dire che nella pittura di Tobey si assiste alla “genesi della scrittura”, ed infatti i suoi quadri sono arene dell'autocoscienza spirituale del segno.

Artista d'alto profilo, rimase tuttavia al margine della roboante pittura americana del periodo. Tobey era “bilanciato” e meditativo, ed affatto “american macho” (anche per la sua omosessualità socialmente disprezzata), ed inoltre il suo amore per la cultura del “nemico giapponese” era ritenuta sospetta; tutto questo lo alienò per diverso tempo dalle simpatie della critica e del pubblico. Pur dopo i più alti riconoscimenti internazionali, egli è rimasto un po' appartato, vivamente apprezzato ma in circuiti amatoriali; basta vedere quanto poco si è pubblicato sul suo lavoro. Ciò nonostante ha ispirato molti, alcuni dei quali, come Pollock, l'hanno orgogliosamente negato. Il suo insegnamento rimane straordinariamente valido, soprattutto perché intende portare l'anima dell'artista fuori dalla prigione dolorosa dell'io, per danzare con le libere ed estatiche arie impersonali dell'Ispirazione; una profezia che l'Arte contemporanea ha assolutamente bisogno di verificare, per esserne spiritualmente rigenerata.

mercoledì 30 giugno 2010

Siamo un popolo di artisti?

E' proverbiale che quello italiano sia un popolo di artisti. Basta guardarsi intorno, soprattutto le insegne dei negozi: l'arte della porchetta, l'arte del pane, l'arte del gelato, l'arte della pizza, l'arte della pasta all'uovo, e così via. Sembrerebbe che l'arte più riconosciuta sia quella che soddisfa il ventre. Ma no, poi c'è anche l'arte italiana che ci rende celebri nel mondo, quella della sartoria ideata dagli osannati stilisti che coltivano l'aristocrazia dell'apparire. Ma l'Arte vera, quella che è specchio dell'Anima e che ci consente di riflettere su noi stessi e sulle nostre ricchezze interiori? In quanto a questo ritengo che siamo il popolo che mostra minor sensibilità. Non conta che le grandi mostre siano ben frequentate: sono eventi mediatici che creano pubblicitariamente un loro pubblico, che resta impreparato e svogliato. Certo, è un momento difficile per l'Arte (insieme al resto) al livello internazionale, ma vorrei soprattutto riferirmi a quella rispondenza culturale, estetica ed intuitiva dell'individuo, che in Italia resta affatto coltivata mentre in altri Paesi continua ad avere una certa considerazione. Noi italiani siamo immersi nell'Arte del passato sino al collo, ma con gli occhi chiusi, e questo ci impedisce anche di apprezzare la ricchezza che l'Arte continua a produrre.

Si potrebbe guardare la politica artistica degli altri Paesi, per avere un'idea dell'attenzione che lì viene dedicata alla cultura, e delle risorse impiegate per questo. Ma si possono fare anche considerazioni più semplici ed immediate. Mi sono messo talvolta ad osservare le ambientazioni dei film e delle fiction televisive: mentre nelle produzioni estere, ad esempio americane, gli ambienti sono generalmente arricchiti con opere d'arte di buon livello, in quelle italiane imperano l'etnico (ugh!) e quadri orribili da supermercato. E se rifletto sulla mia personale esperienza, non credo sia un caso che la maggior parte delle mie opere vada all'estero, in particolare negli Stati Uniti, in Olanda e in Inghilterra. Non è nemmeno un caso che parlando con stranieri, anche molto giovani, facilmente riscontro una preparazione o almeno un interesse artistico che in Italia si stenta a trovare.

In altri Paesi l'Arte viene vista come una parte significativa della formazione individuale, anche al livello scolastico, e questo è molto importante perché mentre le altre materie riguardano l'esteriore, ogni forma d'Arte sollecita una maturazione interiore, un affinamento delle risorse creative, percettive e filosofiche dell'individuo. Nel marasma attuale, in nessun caso sono rose e fiori, ma un investimento dev'essere comunque fatto nell'Arte, per salvaguardare e nutrire l'anima dell'individuo e quindi del popolo, affinché non decada in una massa greve, insensibile e totalmente priva di gusto e cultura.

venerdì 25 giugno 2010

Artisti che amo: Hundertwasser

Quand'ero ragazzo presi ad Amsterdam molte cartoline dei dipinti di Hunterwasser, con le quali tappezzai la mia stanza; fui attratto dall'immaginazione lisergica e spiraliforme di questo artista, ma di lui non sapevo nulla. Non sapevo, ad esempio, della sua filosofia e del suo impegno artistico-ecologista, delle sue intuizioni ante-litteram sulla bio-architettura, della sua coerenza nel mantenersi libero dalla logica materialistica e dai vincoli del mercato dell'Arte. Approfondendo nel tempo la sua conoscenza, lo ho apprezzato sempre di più, riscontrando anche molteplici corrispondenze con il mio percorso filosofico, artistico ed esistenziale.

Entrambi abbiamo cercato il senso della Vita e dell'Arte nel grembo della Natura quanto nel cuore del labirinto psichico dell'uomo. Infatti, come Hundertwasser, anch'io ne ho spontaneamente tratto colori massimamente vivaci e forme femminilmente tondeggianti, insieme ad un sentimento libertario che non accetta compromessi. Contemplando i suoi quadri, visitando le sue architetture e leggendo i suoi scritti, ne ho potuto apprezzare il valore, affatto sminuito dalla nota stonata di un certo fanatismo, che lo ha sostenuto nel mantenersi risolutamente coerente. Per farsi la propria strada, remando controcorrente, ci vuole un carattere forte, e una personalità tanto cristallizzata risulta inevitabilmente coriacea, a meno che non si risolva tuffandosi nel vortice impersonale della meditazione, fiorendo nell'innocenza. Forse per tentare di diluire la durezza del carattere, il pittore ha istintivamente prediletto i colori all'acqua, con cui ha tracciato spirali e labirinti sfumati, sempre ponendosi orizzontalmente in connessione con il grembo di Madre Terra. Comunque ciò che Hundertwasser ha espresso risulta di straordinaria attualità, e meriterebbe una riflessione ben più accurata di quanto gli sia concesso. Perché egli, come tutti i veri artisti, ha mostrato doti profetiche, soprattutto riguardo allo scempio che si stava perpetrando contro la Natura e contro l'uomo stesso, e che oggi ha raggiunto il punto critico.

Ci siamo ingabbiati in città verticalizzate che generano malattia, degrado ed alienazione, ed abbiamo corso lungo una linea dritta e tecnologica che ci ha forsennatamente distanziato dalle nostre radici naturali ed animiche, conducendoci al limitare del disastroso precipizio, proprio come Hundertwasser aveva sin da allora denunciato. Abbiamo confezionato le nostre “tre pelli” (che secondo l'artista sono la psiche, il corpo, lo spazio abitativo) come camicie di forza artificiali che ci stanno asfissiando. A tutto ciò Hundertwasser oppose giustamente una fiorente creatività, fondamentalmente semplice ma saggiamente “curva” e battezzata dai colori della speranza. Egli ha combattuto l'oscurità cercando di alimentare la luce, e credo che questo sia il giusto modo di operare.

Al contrario, spesso l'Arte contemporanea assomma oscurità su oscurità, elaborando una concettualità foscamente disperata, ammantata da impotente denuncia. Ma il potere dell'Arte si esprime nel comunicare creatività, riconoscimento della bellezza e ispirazione, mentre pescare mentalmente nel torbido certo non giova; l'artista che imbastisce il proprio lavoro sul dolente risentimento, sull'evidenza dell'ingiustizia e sulla catarsi sociale, manca l'autentica responsabilità creativa e contribuisce a mantenerci entro il recinto di filo spinato dell'angoscia. Forse questo è il più importante insegnamento che Hundertwasser ci ha lasciato: aveva individuato i mali che sarebbero incancreniti portandoci al punto in cui siamo, ed anche per questo ha insistito nel creare un'arte positiva, romantica, “bella come un gioiello” ed ecologista.

lunedì 21 giugno 2010

L'Arte al tempo della crisi


Satvat - Trionfo di Primavera - acrilico su tela 2010

La crisi che ha globalmente investito la società, induce necessariamente ad una profonda revisione del nostro stile di vita quanto alla riconsiderazione della nostra identità esistenziale. Nel senso che di fronte all'evidente fallimento di quanto abbiamo sinora costruito, dobbiamo porci il problema di saper esercitare una vitale riconversione a ciò che è reale, irrinunciabile e creativo. Siamo naufragati sui falsi bisogni indotti, sull'alienazione dalla nostra presenza naturale, e sulla delega irresponsabile che abbiamo conferito a Sistemi corrotti; per cui è chiaro che per trovare la possibilità di un nuovo avvio e di una salutare trasformazione sociale dobbiamo innanzitutto diventare consapevoli di noi stessi.

Tale ricapitolazione deve riportarci alla nostra reale presenza, al riconoscimento delle nostre necessità essenziali, e all'espressione delle nostre autentiche risorse creative. In tale processo di risveglio dall'attuale addormentamento della coscienza (manovrato subdolamente da Poteri più o meno occulti) l'Arte può giocare un ruolo importante, ed è per questo che sto facendo il mio meglio, anche in questo blog, per ispirare ed intensificare una riflessione sul senso genuino dell'Arte. Sembra che lo abbiamo dimenticato, e che ci siamo rassegnati all'artificio, perciò non disponiamo più del grande serbatoio d'immaginazione creativa della vera Arte, o almeno non guardiamo più in quella direzione, condizionati come siamo a seguire le logiche di mercato, le stesse che hanno determinato la crisi e che non potranno sanarla. Perché il problema reale è che ci siamo assoggettati ad un sistema verticistico e tecnocratico che non richiede, anzi osteggia, la partecipazione cosciente dell'individuo. Si vorrebbe renderci come macchine prive di consapevolezza e di potere creativo, incapaci di fluire con il nuovo e di aspirare alla libertà e alla bellezza. Le ispirazioni dell'Arte dovrebbero invece insegnarci il contrario

Soprattutto oggi, l'Arte deve mostrare che non tutto è merce, che c'è ancora la possibilità di immaginare e di creare in sintonia con la Natura e con i profondi sentimenti dell'uomo, che ancora ne siamo capaci e che siamo capaci di apprezzarlo. Non è una piccola cosa, poiché ci radica in quell'anima essenziale da cui il consumismo ci ha distolto, rendendoci responsabili della nostra capacità di risonanza. Mentre le visioni ipocrite e terroristiche della politica e dei mass-media tendono ad ottunderci sempre di più, il richiamo dell'Arte è intimamente fondato sulla legge di risonanza, che amplifica quanto in noi vi è di genuino, essenziale e creativo, e solo in questo potremo fondare la prospettiva di una vitale rinascita.

venerdì 18 giugno 2010

Artisti che amo: Picasso



Picasso mi è cordialmente antipatico. Contemplando la sua opera non trovo alcuna vulnerabilità, alcun sussulto d'anima o di femminile trepidazione. Tuttavia Picasso è un genio, e non posso non amarlo; lo amo però come si può amare un padre ruvido che non sa aprirti il cuore, ma che a modo suo è profondo e abile, ricco di autorità e carattere.

A lui dobbiamo i precetti di una rivoluzione artistica, l'azzardo maschio di una nuova geometria, la sacra arroganza dell'ateismo formale, il “fare contro”, la propulsione sfrenata di un amplesso con l'informe. Con lui abbiamo rinunciato al sogno di essere artisti per imparare dolorosamente a disegnare come bambini, per vedere con occhi spalancati, a volte stralunati ma non del tutto privi d'innocenza. A lui dobbiamo le più folgoranti sentenze sull'Arte, tuttora affatto spente. Tutto ha provato e percorso; insaziabile argonauta, ha strappato il vello d'oro dal giardino sublime dell'Arte per farne robusti calzari con cui calcare l'impossibile. Ha prodotto l'opera di genio insieme a mediocrità e bruttura, il tutto cementato da una personalità eccessiva che ha saputo edificare un monumento imperituro.

E' stato lui il primo assassino della pittura, ma ci ha lasciato in eredità mille quadri, mille schizzi brulicanti, mille icone di false divinità estranianti. In definitiva, con la sua pittura ha tentato di sfuggire laicamente alla morte, e devo dire che purtroppo vi è riuscito. Nel senso che superarlo, per procedere oltre, è stato drammaticamente difficile e per alcuni versi tuttora incerto.

lunedì 14 giugno 2010

La scultura secondo me


Satvat - Cuore universale - gioiello scultura in argento oro e giada, 2010

Il sogno segreto di ogni materia è una tensione caotica che cerca armonia; così la materia dell'opera può assumere un significato che non è solo nell'idea del creatore, ma è anche un evento naturale, intimamente correlato alle qualità sostanziali quanto alle leggi della creazione. Per dirla con Gaudì, l'artista non crea arbitrariamente, ma collabora con l'impulso creativo della Natura. La Natura è fondamentalmente creativa; anche la sua azione dissipativa restituisce vita nuova. Partecipando a questo, lo scultore forgia nella materia un nuovo corpo espressivo, che per essere tale necessita tanto delle sue emozioni che di un'intima corrispondenza con il materiale stesso. E' noto che lo scultore intuisce nel blocco di pietra la scultura che attende d'emergere; egli si limita a togliere le parti inerti, liberandola.

Il modernismo si è illuso di poter realizzare l'assolutezza formale, ma nella vita tutto è relativo, e ciò rende possibile una vastissima gamma di possibilità relazionali, mediante le quali possiamo arricchire la nostra esperienza. Secondo me la scultura dev'essere una creatura satura d'umori, di variegate contraddizioni che hanno magicamente raggiunto una soluzione creativa; dev'essere un crogiolo in fusione che sappia saggiamente agitare le onde magmatiche del mutamento, in modo mai conclusivo per permetterci di “surfare” sull'onda alta dell'intuizione.

Per questo vado soprattutto a comporre frammenti, amando il caos sino a rintracciarvi una rivelazione di vita: perfettamente-imperfetta, pienamente formata ma suscettibile di contraddizione, in danzante equilibrio sulla cresta dell'onda. L'opera non dev'essere conchiusa in se stessa, come una cella chiusa in cui si è riposto un abbaglio concettuale. Dev'essere piuttosto un corpo che sia reso capace di dialogare con lo spazio, un'incastonatura aperta da cui riluca un intrinseco significato, che viene liberamente offerto senza pretesa di definizione. E, come ogni corpo vivente, è bene che la scultura si mantenga in qualche modo soggetta al cambiamento, ad esempio alla corrosione, all'ossidazione, ad un evento cinestetico. Tutto questo può ispirare, poiché resta saturo di vita, affatto plastificato bensì arcaico, dotato d'energia pulsante.

Ho alfine trovato che gli antichi maestri giapponesi avevano ragione quando meditarono l'estetica wabi sabi, che rende l'oggetto misterioso, brulicante di informazioni e sollecitazioni sensoriali, seducente in modo introverso e meditativo. In tal modo l'opera viene percepita come creazione intima, naturale e sorprendente, che è possibile sperimentare nel cuore sino a riconoscervi una verità dimenticata. Così intendo che siano le mie sculture e i miei gioielli.

sabato 12 giugno 2010

Le ragioni della scultura


Satvat - Mulino lunare - argento brunito

La scultura non si proietta su uno schermo come la pittura, che ha una “funzione di specchio”, ma crea un corpo tridimensionale che occupa il proprio spazio. Questa forma d'arte testimonia, sin dai megaliti pre-storici che potremmo considerare come il primo esempio di scultura, un progetto formativo della realtà. Sin dagli albori, con la scultura l'uomo ha plasmato il mondo, creando le effigi durevoli della propria volontà e del proprio intendimento formativo.
Ciò inizialmente ha suggellato e modificato religiosamente le latenze della Natura, ad esempio con monumenti e manufatti scolpiti che avevano carattere magico/simbolico, passando poi al progetto di un sistema più grandioso, che identificava in Terra il potere divino per governare un Impero, ad esempio con i colossi egizi che ritraevano il Faraone-Dio. Il più grande condottiero dell'antica Cina ha voluto accompagnarsi nel tumulo funerario con uno sterminato esercito di terracotta, per conquistare forse anche il mondo dell'aldilà. Nell'epoca classica, la scultura ha immortalato gesta d'eroi e di atleti, insieme alla personificazione ideale della bellezza, popolando il mondo con schiere esemplari ed idealizzate; ed esemplari sono stati gli Archi di Trionfo, le steli istoriate, e le statue dei templi.

In epoca moderna, con l'incrinarsi dell'idealismo collettivo che aveva cementato l'idea organica ma soverchiante dello Stato, la scultura ha incarnato volontà più private, e gli eroismi di un'individualità che forzava per trovare la propria collocazione nel mondo. Per questo la scultura moderna si è resa dinamica, acuminata, gettata su linee impreviste di fuga prospettica, esplosivamente gloriosa; voleva segnare il mondo con gli artigli, lasciandovi un segno innovativo e saturo del dramma, ma anche del virile entusiasmo, del vivere. Una scultura di frontiera, quella moderna, impregnata di sfide, ma anche di richiami neoclassici per reinventare radici che si stentava a conservare.
Ormai anche questi fuochi sono spenti e l'essere umano è sempre più lontano da se stesso, per cui si rivela maggiormente incapace di definire, anche tramite la scultura, un qualche progetto formativo. Con uno sguardo disincantato, possiamo vedere in molta scultura contemporanea un'avvilente parodia che celebra l'artificio, ad esempio con i manga-pupazzi di Takashi Murakami.
L'uomo sta tentando di sfuggire alla responsabilità di creare se stesso e di progredire nella costruzione di un mondo nuovo, per cui implode nelle proprie meschinerie e vigliaccamente lascia implodere il proprio sistema di vita. In tale alienazione globale si affida unicamente alla tecnologia, una deificazione meccanica senza possibilità di saggezza ed amore, contaminando con tale attitudine anche l'Arte.
Per essere vitale ed efficace, la scultura ha necessità dell'anima che solo la passione e la meditazione dell'uomo possono insufflarvi; altrimenti rimangono solo mucchi di stracci, animali impagliati, collezioni di spazzatura, blocchi inerti, e teatrini privi della vivente magia dell'immaginazione creativa.