L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

mercoledì 6 aprile 2011

Tamara de Lempicka - bella senz'anima

Tamara de Lempicka - Rafaela su fondo verde (il sogno), 1927
Tamara de Lempicka è tra gli artisti più saccheggiati dai "falsi d'autore"; non solo perché il suo modellato e le sue campiture di buona scuola sono tutto sommato agevoli da imitare. In questo inizio del Terzo Millennio la sua pittura piace molto, perché rispecchia quella carenza d'anima, coperta dal luccichio del glamour, che oggi va per la maggiore. Non a caso molti personaggi dello Star System si sono ispirati ai suoi modelli, uno fra tutti Madonna.

La pittura di Tamara de Lempicka è popolata da figure che troneggiano sulle tele in pose enfaticamente teatrali, con un allure aristocratico sottolineato spesso con sciarpe svolazzanti. I ritratti maschili mostrano l'arroganza del loro ruolo, mentre le tante figure femminili sono prese dalle raffinatezze della moda e, pur se nude, risultano ricoperte da un impenetrabile splendore d'acciaio. Queste sono dee dell'immagine, di un apparire sensuale dove manca l'afrore della carne e del sentimento, gonfiate con languidezza di mestiere che intende sedurre senza mai concedersi.

E' stata brava Tamara de Lempicka, con i pennelli come con la sua vita sregolatamente snob e rampante, a creare un incantesimo sfolgorante ma ben poco autentico. Ha dipinto, ha amato e ha peccato, ma senza l'incertezza magica che apre l'anima al mistero; in ogni caso l'ha fatto con ostentazione orgogliosa, restando inchiodata al mito vacuo da lei stessa creato. Anche nei ritratti sensuali della sua amante Rafaela, ha saputo comunicare solo un brivido a fior di pelle.

I quadri nella prima sala della mostra del Vittoriano, quelli realizzati nella povertà giovanile che ha preceduto il successo, sono più veri e innocenti, anche se non ancora maturi. C'è in questa mostra un solo quadro che mi ha davvero colpito, intitolato Ritratto di Ira P. (la sua tristezza), 1923. Ira Perrot, la sua amante di una vita, viene ritratta con umanità sensibile e ricca di partecipazione.

Per sfuggire al calvario della Storia che innalzò la croce uncinata del nazismo, ma anche per seguire la spinta propulsiva della modernità, l'artista si trasferì in America. Nel Nuovo Mondo del progresso e dei grattacieli, Tamara de Lempicka fu un'ottima promotrice di se stessa e cavalcò l'onda della più spregiudicata mondanità. Però nell'America degli anni '40, mentre la nuova pittura americana sperimentava il potere eversivo dell'anima, la trasgressività leziosa della pittrice non fu più apprezzata. Lei riparò in Europa, allora artisticamente tarda rispetto alla rivoluzione espressiva americana, per godersi gli scampoli del proprio successo. Poi, sul viale del tramonto, tentò un classicismo ispirato a Vermeer, Caravaggio e Botticelli, con risultati, a mio parere, mediocri, poiché sostenuti da vuoto mestiere.

La mostra romana al Vittoriano offre un interessante ed esauriente panorama del lavoro di questa "regina del moderno", che era stato sinora poco esposto, almeno in Italia. Ed è per noi l'occasione di meditare sulla Storia dell'Arte e sul suo irrinunciabile patrimonio d'Anima.

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