L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

martedì 6 luglio 2010

Artisti che amo: Mark Tobey

Parlando di Mark Tobey ho l'impressione di parlare di un intimo amico, tanto sono simili, alla radice, le nostre ricerche artistiche ed esistenziali. In qualche modo mi accorgo che le mie forme caleidoscopiche sono fiorite dallo stesso spazio pittorico che egli aveva meditativamente calligrafato. Seppure ciò può non essere evidente ad un primo sguardo, il fraseggio dell'anima in espansione è il medesimo, e scaturisce da simili comprensioni spirituali; per questo posso trovare nella sua pittura così tante risonanze e coincidenze, ad esempio con ciò che ho sperimentato nel tema di “universal web”.

La ricerca di Mark Tobey è nata da un'esperienza spontanea di non-mente. Era il 1918 e si era appena sparsa la notizia della fine della 1 guerra mondiale; egli scese in strada e si unì alla folla festante. L'enfasi celebrativa e collettiva portò la sua consapevolezza ad un apice di congiunzione con il Tutto, facendo svanire i muri percettivi con i quali la mente definisce la ristrettezza dell'io. Per l'intero giorno egli rimase in uno stato di estatica immedesimazione con l'accadere, senza imporre i filtri estranianti della coscienza razionale. Fu uno stato di rapimento mistico, che egli si impegnò a resuscitare nel suo successivo lavoro di artista. Infatti egli intese l'Arte come possibilità d'espandere la consapevolezza, e per realizzarla frugò profondamente in se stesso, avviandosi anche su percorsi coraggiosi che lo condussero in Cina e Giappone, dove praticò la meditazione e l'arte pittorica del Taoismo e dello Zen. In Oriente non cercò però il sogno illusorio di un'alterità, ma le Vie per divenire più autenticamente se stesso, e ne trasse un vibrante “impulso calligrafico”che celebrò con i suoi “white writings”. Paul Klee ebbe a dire che nella pittura di Tobey si assiste alla “genesi della scrittura”, ed infatti i suoi quadri sono arene dell'autocoscienza spirituale del segno.

Artista d'alto profilo, rimase tuttavia al margine della roboante pittura americana del periodo. Tobey era “bilanciato” e meditativo, ed affatto “american macho” (anche per la sua omosessualità socialmente disprezzata), ed inoltre il suo amore per la cultura del “nemico giapponese” era ritenuta sospetta; tutto questo lo alienò per diverso tempo dalle simpatie della critica e del pubblico. Pur dopo i più alti riconoscimenti internazionali, egli è rimasto un po' appartato, vivamente apprezzato ma in circuiti amatoriali; basta vedere quanto poco si è pubblicato sul suo lavoro. Ciò nonostante ha ispirato molti, alcuni dei quali, come Pollock, l'hanno orgogliosamente negato. Il suo insegnamento rimane straordinariamente valido, soprattutto perché intende portare l'anima dell'artista fuori dalla prigione dolorosa dell'io, per danzare con le libere ed estatiche arie impersonali dell'Ispirazione; una profezia che l'Arte contemporanea ha assolutamente bisogno di verificare, per esserne spiritualmente rigenerata.

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