L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

giovedì 14 maggio 2015

La meditazione calligrafica 1




Nella pittura vi è un fattore primordiale, costituito dal segno. Ho specificato nella pittura, pur se il potere del segno si esprime anche nell’arte scultorea, per sottolineare che il primo tratto del pennello opera in modo radicalmente diverso dal primo colpo dello scalpello: mentre questo inizia a rimuovere la materia inerte, affinché alla fine risulti il corpo vivificato della scultura, che si può dire era già contenuto in potenza nel materiale grezzo, il segno pittorico porta invece in esistenza qualcosa che prima non c’era. Infatti in pittura, come nel disegno, l’imposizione del segno trae dal non-manifesto e indifferenziato, potremmo dire dal vuoto, la libera traccia della creazione. Con un segno si dà inizio, avviando un destino operativo che va a svilupparsi in modo suscettibile all’ispirazione. Quel segno iniziale si trasforma, si estende, si moltiplica, originando generazioni di forme che assumono legittimamente le qualità del colore. Pensiamo quindi a quanta energia sia contenuta, al livello potenziale, nel segno originale, con il quale viene piantato il seme di un mondo nuovo; e tale forza è data dalla presenza responsabile di colui che lo traccia. In quell’attimo in cui il pennello feconda la carta vergine, l’autore rivendica il diritto demiurgico della creazione; ma, se è un vero artista, non si pone come incauto tiranno, o con sconsiderato automatismo, bensì come appassionato intermediario tra ciò che vuole nascere, traendosi dal mistero inconoscibile, e la manipolazione consapevole delle forze della gestazione interiore e quindi del parto creativo. Ci vogliono umiltà, intuizione, spontaneità, attenzione, amore e gratitudine. Nell’operare creativo si è sempre in bilico tra la nascita e l’aborto, tra la vita e la morte, tra il caos e l’armonia, ed è l’immedesimazione consapevole dell’artista che fa la differenza.

Mentre l’arte occidentale si è mostrata particolarmente interessata alle forme, e quindi ai significati dell’espressione, la pittura estremorientale si è prevalentemente focalizzata sull’investigazione del potere ancestrale del segno, avviandosi in meditazioni stupefacenti sulle mutazioni stilistiche e energetiche della linea. Quando ho preso a studiare l’antica pittura estremorientale, sono stato profondamente colpito dalla profondità meditativa delle sue comprensioni, tanto da dedicare a ciò il mio libro Il Tao della pittura. Per gli antichi pittori cinesi e giapponesi, la linea era il filo del rasoio dove si compivano pericolose esercitazioni sul ciglio dell’abisso, tendendo a suscitare i poteri esoterici del pennello. Volendo andare alla radice dell’intento creativo, essi conobbero del segno tutti gli umori, le attività più fantasiose e creative, persino i colori potenziali e immanifesti, facendone lo specchio perfetto del loro cuore. Per questo non distinsero tra pittura e calligrafia: entrambe rivelano la forza esoterica che origina la vita, nella sorgenza spontanea del fermento creativo che imprime le diecimila danze ispirate alla linea calligrafica.

Quando i pittori moderni cercarono in se stessi la misteriosa origine dell’arte, si trovarono ad essere spontaneamente risonanti con i principi meditativi dell’arte estremorientale, così anche per loro divenne cruciale la riflessione sul potere misterico del segno. Questo fermento meditativo e creativo, che ha colto echi taoisti e zen in modo affatto imitativo, ha investito l’intero panorama dell’arte, e per molti artisti è divenuto il dato fondante del loro lavoro; tra questi, ricordiamo per brevità solo Michaux, Masson, Mirò, Alechinsky, Pollock, Kline, Gorky e Tobey, ma l’elenco dovrebbe essere molto più esteso.

L’artista francese Fabienne Verdier ha raccontato nel libro Passeggera del silenzio la sua avventurosa iniziazione all’arte calligrafica cinese. Il suo maestro le impose di esercitarsi per lungo tempo nel semplice “tratto dritto”, che è il segno di base. L’inesausta ripetizione di quel tratto elementare, risultava insopportabilmente ripetitivo per la mente occidentale della pittrice; ma al suo insegnante ogni segno dipinto, pur se apparentemente uguale ad ogni altro, rivelava lo stato d’animo dell’allieva. Egli sapeva assaporarlo in profondità, quindi poteva giudicare l’umore di cui era infuso. Le insegnava dicendo: "Il tratto è di per sé un’entità vivente: ha un’ossatura, una carne, un’energia vitale; è una creatura della natura, come tutto il resto. Bisogna cogliere le mille e una variazione contenute in un unico tratto" (1). Una simile comprensione motiva anche la nostra meditazione calligrafica.

Non abbiamo bisogno di interessarci della calligrafia orientale, poiché la meditazione del segno è un valore universale, e troveremo in questo esercizio creativo un valido metodo per l’immedesimazione energetica e la comprensione dell’espressione creativa primaria. Si tratta di darsi l’occasione di una produzione segnica spontanea e intensamente partecipata, tratta da un allineamento interiore con il libero fluire dell’energia. La chiamo calligrafica, per libera assonanza con le comprensioni artistiche orientali, ma non ha proprio nulla a vedere con la scrittura ed il linguaggio. Concerne lo sprigionarsi, dall’interiorità creativa, di una forza naturale che si produce in un effetto segnico, in modo simile alle miriadi di segni espressi spontaneamente nella natura: le venature del legno, le crepe della roccia, i disegni vegetali sulle piante. Tale perfetta rispondenza è resa difficile solo dal fatto che la nostra personalità inibisce il flusso creativo naturale: non siamo capaci di lasciar andare liberamente il pennello assecondando intuitivamente questa forza. Quando proviamo a farlo, ci sentiamo inadeguati e spesso reagiamo a questo senso di incapacità tracciando dei segni automatici e casuali, del tutto insignificanti, che esprimono unicamente il nostro malcontento. Eppure la nostra presenza energetica è l’occasione straordinaria della saggia creazione del segno pittorico, che non può certo prodursi da solo. In realtà abbiamo il pieno potere di manifestare un segno pieno di vita, non distorto dal pensiero e gioiosamente sincronico al flusso naturale dell’energia e dell’ispirazione, ma tale facoltà deve essere rivendicata e meditata. Ci siamo allontanati dalla spontaneità, e per ritrovare la vibrante potenza segnica dobbiamo ripristinarla; perciò la meditazione calligrafica ci riconduce, nel corso delle esperienze, alla sua salutare riscoperta.

SEGUE...



(1) Fabianne Verdier – Passeggera del silenzio – Ponte alle Grazie, 2004

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