L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

martedì 8 febbraio 2011

La profezia del 2012

Ieri la trasmissione televisiva Voyager ha parlato a lungo della profezia Maya - e non solo - che riguarda il 2012. Vorrei contribuire alla riflessione sul tema con un brano del mio ultimo romanzo L'Arcobaleno del 2012; si racconta di una straordinaria avventura creativa che è molto significativa. Volenti o nolenti, siamo tutti "taggati" su quel quadro, non nel 2012 ma già in ciò che si sta verificando al livello globale; il mio augurio è quello di riuscire a trovare la perla! Namasté pace pace pace.

"Preparò velocemente lo spazio della pittura, e tutto l’occorrente. Mise un CD di Vivaldi, poi, senza cambiarsi gli abiti, pur sapendo che li avrebbe irrimediabilmente imbrattati, iniziò ad impastare i colori. Si accorse subito che l’atto creativo aveva una qualità diversa, mai sperimentata prima. L’artista procedeva d’impulso, senza farsi alcuna domanda, senza quasi guardare a ciò che stava facendo. Era come se eseguisse un dettato pittorico, distolto dal significato e pienamente attento all’impeccabilità del tratto. Così egli scivolò in un totale coinvolgimento, che smisurava nel suo petto una sensazione d’inebriante potere, alimentata dagli odori della pittura e dalle rapide movenze dei pennelli. Lavorò per ore, mentre il giorno si consumava a sua insaputa. La notte lo trovò intento a dipingere, e lo accompagnò, silenziosa, a culminare l’impresa. Quando al quadro fu dato l’ultimo tocco, cominciava a filtrare il primo chiarore del mattino. Tommaso crollò sulla poltrona tenendo ancora il pennello in mano. Nel momento in cui il dipinto s’era distaccato da lui, poiché ultimato, gli era arrivata l’onda spossante della stanchezza. Ancora pervaso d’eccitazione, chiuse un attimo gli occhi, prima di contemplare l’effetto complessivo dell’opera.

Il dipinto era molto complesso e terribile: si vedeva un veliero, a cui però mancavano le vele, che lottava con un mare tempestoso, le acque scure e dense di minaccia. Ma il pericolo era anche più grave ed insidioso: la poppa del vascello si tramutava in un orrido mostro, che infieriva sulla nave con furia distruttiva. Era un’inconsapevole bestia che, accecata dall’oscurità dell’odio, divorava ogni cosa, accanendosi persino su se stessa. A bordo s’agitava un’Umanità folle e disperata, una tormenta di figure che lottavano le une con le altre: ognuno cercava di salvarsi, nocendo senza remore al prossimo. Molte persone si gettavano in acqua, tentando di sfuggire al terribile destino, ma erano inghiottite dai flutti. Proprio davanti alla prua, si spalancava un gorgo di mille colori impazziti, che ricordò a Tommaso il vortice colorato della sua visione. Il gorgo s’inabissava in profondità nel mare in burrasca, ma poi stranamente risaliva; s’incuneava in alto nel cielo, formando la colonna roteante di un tornado ascensionale. La sommità di questo, si coagulava in un globo luminoso, come un astro nascente che diffondeva nell’aria un benedicente pulviscolo policromo, che aveva i colori dell’arcobaleno.

Tommaso, sconcertato, contemplò a lungo il quadro, in silenzio. Mai prima, i suoi pennelli avevano pescato così a fondo nelle piaghe dolenti dell’anima. Gli sembrava d’udire il ruggito delle onde, le urla terrorizzate degli uomini, ed il crepitare scricchiolante del vascello sotto la duplice aggressione del mare e del mostro.
L’artista si versò un bicchiere di vino rosso - uno dei pochi lussi che ancora si permetteva - e poi, quasi con timore, tentò di comprendere il senso di ciò che aveva dipinto.Gli fu subito chiaro che si trattava di un’allegoria del difficoltoso momento che l’Umanità stava attraversando. Quel vascello di disperazione richiamava molto la “nave dei folli”, tema dipinto frequentemente nel medioevo europeo. Mostrava effettivamente la follia dell’uomo, ed era simbolico del tracollo della società contemporanea. L’imbarcazione era privata delle vele perché, a nessun livello della gerarchia sociale, ci si disponeva ad accogliere i venti creativi di una nuova ispirazione, che avrebbe potuto determinare un’innovativa forza propulsiva. Senza le vele, il veliero era sconfitto, ma un pericolo ancor più temibile e forsennato era costituito dal mostro in cui si trasformava la poppa della nave stessa. La terribile fiera era l’incarnazione malevola dei mille conflitti lasciati crescere senza controllo, senza alcun intervento consapevole e risolutivo. Era cresciuta a dismisura all’interno del corpo sociale, nell’ombra dei crimini dei Poteri costituiti quanto di quelli collettivi ed individuali, ergendosi a minacciare seriamente la sopravvivenza dell’essere umano. Minacce purtroppo già all’opera con denti ben affilati: guerre, crisi economica planetaria, disastro ambientale ed impoverimento delle risorse. Come mostrava il dipinto, in tale catastrofe globale gli esseri umani non si univano ad operare per il bene comune, senza comprendere che non avevano altre speranze. Divisi ideologicamente, e soprattutto da un egoismo rabbioso, si aggredivano l’un l’altro per tentare di scaricare le loro frustrazioni e le loro paure, aggiungendo odio su odio, dolore su dolore. Così si annichiliva ogni speranza. Quelli che, nel quadro, si gettavano in acqua, perivano a causa del loro terrore.

Se tutto ciò era facilmente interpretabile, più misterioso era il gorgo che si spalancava sotto la prua della nave. Il suo vivace cromatismo rivelava come non fosse semplicemente l’aprirsi d’un baratro infernale. Il colore porta messaggi vitali, perciò annunciava che quel Cariddi rappresentava ben più che un’inevitabile olocausto. Infatti, se prometteva di risucchiare la nave in profondità inesorabili, risbucava poi dal ribollire del mare ascendendo vertiginosamente nel cielo. Portando un dono d’inaspettata speranza: una luce d’arcobaleno."

Tratto dal libro L'Arcobaleno del 2012 di Satvat Sergio Della Puppa

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