L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

lunedì 21 febbraio 2011

Per una migliore presentazione dell'Arte

Nelle mostre di pittura è ormai di tendenza una nuova metodologia d'esposizione: l'ambiente viene immerso in un'oscurità che è lacerata da potenti spot puntati direttamente sulle opere. In tal modo i dipinti risaltano con una brillantezza quasi fosforescente che, pur se suggestiva al primo colpo d'occhio, ha dei risultati molto discutibili. Innanzitutto bisogna dire che tale eccessiva focalizzazione luminosa nuoce all'espressione cromatica del dipinto, falsandola e vetrificandola, e ciò ovviamente impedisce la fruizione della sua “risonanza interiore”.
Diverse delle opere che ho veduto esposte in questo modo deleterio, le avevo precedentemente godute in altre mostre, e ho così constatato l'evidente adulterazione delle immagini: i colori risultano acidificati, piattamente omologati e tonalmente forzati, e vi è un grave impoverimento della profondità. Inoltre viene sancita una drastica frattura tra l'osservatore e l'opera, nel senso che l'artificiosità del metodo espositivo annulla per lo spettatore ogni potenzialità d'intima e naturale riflessione; egli è spaesato dal doversi muovere nel buio da cui emergono prepotentemente i quadri: non vi è vicinanza, l'opera è assolutizzata e resa lontana come fosse un oggetto di venerazione. 

Ma questo è il metodo in cui si presentano gli status symbol, non quello atto a presentare l'Arte! Come mostra la pubblicità, l'immagine di qualsiasi status symbol dettato dal mercato – che sia una macchina, un orologio, un abito griffato o un profumo – dev'essere necessariamente sofisticata, rutilante, messa sul più alto piedistallo come un idolo per la massa, perché non ha una sua realtà esistenziale da condividere, ma è sostanzialmente un'illusione che dev'essere spacciata con gli incantesimi atti a fomentare il desiderio. Un simile oggetto dev'essere celebrato rendendolo distante, sia perché la mente desidera soprattutto ciò che sembra inarrivabile, sia perché altrimenti rivelerebbe la propria effettiva pochezza. 

Un'opera d'Arte ha invece un forte e vitale contenuto d'anima: è questa la sua ricchezza, che possiamo apprezzare e condividere stabilendo un'empatia con quanto l'artista ha saputo evocare, e l'empatia richiede verità, naturalezza e confidenza. Le condizioni migliori per esporre Arte sono certamente quelle che evidenziano naturalmente l'opera, e che mettono a suo agio l'osservatore, favorendo quel benefico rilassamento che induce all'apertura percettiva e all'espansione animica. Inoltre va considerato che l'anima apprezza particolarmente ciò che non è brutalmente definito, ma resta pervaso dal mistero; per questo i veri artisti hanno sempre prediletto ciò che è soffuso, perché in ciò l'anima trova suggestioni creative e multidimensionali. E la luce, spesso importante come rivelazione spirituale nell'Arte, deve trapelare dall'intimo dell'opera, non essere schiaffata dall'esterno. 

Nell'esasperata esposizione luminosa dell'Arte si potrebbe anche ravvisare quell'antagonismo manicheo di luce e ombra che tanto appartiene alla povertà della nostra Cultura, sia religiosamente che politicamente. Credo che ormai sia evidente come tale assolutismo dualistico sia segno d'ipocrisia e d'incapacità di comprensione; infatti non abbiamo bisogno di un'Arte mitizzata, sofisticata e forzosamente classificata, bensì di un'Arte veritiera, fondata sulla genuina esperienza esistenziale che l'essere umano può fare di se stesso, delle proprie emozioni, e del Tutto.

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