L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

domenica 19 luglio 2009

LA BIENNALE DI VENEZIA: un'autodenuncia d'impotenza


Credo che l'Arte dovrebbe manifestarsi
più attraverso la meditazione che attraverso l'azione.

Mark Tobey

Il motto di questa Biennale veneziana è "Fare mondi". Si intendeva mostrare la capacità degli artisti d'immaginare nuove prospettive esistenziali, elaborando proggetti creativi ed innovativi. Effettivamente, l'artista dovrebbe coltivare ed esprimere una percezione dell'Esistenza che sia più approfondita e vitale di quella ordinaria, essendo la creatività artistica un crogiolo, in cui il fuoco dell'Ispirazione fonde l'esperienza individuale con le misteriose propulsioni dell'Essere, accelerando il compiersi alchemico da cui emerge il nuovo. In qualche modo, l'artista dovrebbe consapevolmente lasciarsi investire dalla Vita, divenendo, senza alcuna presunzione, un oracolo a cui si possa chiedere un lume per rischiarare l'oscurità causata dall'abitudine e dall'ignoranza. Altrimenti qual'è il senso glorioso dell'Arte? Ma per questo, sono necessarie una profondamente onesta confidenza interiore, una meditazione che sia in grado di ascultare la vitalità segreta, e la devozione che è necessaria a trasporre tale virtualità in opera. Tuttavia, visitando la Biennale, non troviamo traccia di tutto questo, bensì assistiamo alla spettacolarizzazione di un nulla-creativo che è figlio della stessa arbitrarietà artificiale che forma la materia ottusa del nostro mondo disperato, altro che fare mondi! Aggirandoci nei padiglioni, incontriamo gli inganni a cui siamo tristemente avvezzi, i teatrini forsennati della nostra mente ammalata, la povertà della separazione e della frammentazione, l'orgoglio costruttivo che innalza colossi privi di fondamento poichè disconnessi dalla realtà naturale. Niente che sia brillante, autenticamente vitale ed innovativo. Niente che sappia incantare, meravigliare, sedurre alla bellezza, evocare assonanza poetica. Niente che possa fiorire e dare frutti e spargere semi. Imprigionati nell'autoinganno, ci si crogiola nell'impotenza, celebrando l'arroganza di un fare, privo di risonanza interiore, che perpetua l'ovvietà ed il cinismo con cui ci chiudiamo alla Vita.
Pollock diceva che l'artista opera dal dentro verso il fuori, come la Natura, e credo non vi sia davvero altra possibilità; tuttavia continuiamo a rinnegare l'Interiore, proiettando sullo schermo dell'Arte le azioni scomposte che si originano dai nostri incubi e dalla reattività schizofrenica con cui ci relazionaiamo agli altri ed al Tutto. L'aspettativa di "Fare mondi" è necessariamente fallita, poichè un mondo non è una mera costruzione, bensì un pullulare di Vita che sviluppa, pur nelle proprie contraddizioni, l'integrità dinamica di un insieme. Per concepire un mondo nuovo è indispensabile affondare le radici nell'Anima, dato che l'uomo, come disse Gaudì, non ha la facoltà di creare secondo il proprio arbitrio, potendo unicamente partecipare alla grandiosa Opera creativa della Natura. Questa è l'autentica magia dell'essere umano, ma l'individuo/artista contemporaneo sembra averlo dimenticato, poichè ha scordato la verità di se stesso, affannandosi a dar corpo a golem artificiali che non può in alcun modo animare. Perciò questa Biennale, in larga misura, risulta essere un'autodenuncia d'impotenza, fornendo soprattutto un triste spettacolo di assemblaggi che il "concettuale", ormai logoro, non riesce neppure a motivare, in definitiva una deriva di relitti del naufragio dell'egocentrismo umano.
Anche oggi ci sono tanti validi artisti, ma non mi stupisce che questo Sistema politicante, votato alla tirannia dell'artificiale ed alla speculazione sull'olocausto prossimo venturo, li abbia ignorati, scegliendo ciò che è più aderente alle proprie pastoie. Trovo ancor più funesto che ciò avvenga nell'acquiescienza generale, dato che in massa i critici e gli artisti evitano d'affermare che il Re è nudo, dato che aspirano a far parte, prima o poi, di tale "teatro delle vanità".

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